Le interviste ai potenti come eredità di Barbapapà

Riteneva, orgogliosamente, che il centro del giornalismo italiano, per lo meno negli anni Settanta-Ottanta, fosse lui. In realtà, Barbapapà era nato nel 1924 a Civitavecchia e già durante il fascismo di big della penna ce n’erano numerosi a partire da Indro Montanelli, la cui rivalità non è mai venuta meno. Eugenio Scalfari si era imposto all’attenzione generale nel 1955 quando fondò con l’imprenditore Arrigo Benedetti il settimanale L’Espresso, facendolo diventare un periodico d’inchieste e di polemiche anti-Dc. Ne fu direttore fino al 1968 quando venne eletto deputato nelle file dei socialisti, dove rimase fino al 1972.

Non nascondeva di essere “giornalista di parte”, portato a sposare tutte le tesi e le battaglie dei “diritti civili” portate avanti dal radicale Marco Pannella. In questo quadro rientrano già i libri Rapporto sul neocapitalismo in Italia, quello sulla Storia segreta dell’industria elettrica, seguiti da L’autunno della Repubblica e Razza padrona: storia della borghesi di Stato, con il giornalista economico Giuseppe Turani.

È proprio in quel 1974 che Indro Montanelli lancia a Milano Il Giornale nuovo portandosi via dal Corriere della sera redattori come Enzo Bettiza, Cesare Zappulli, Gian Galeazzo Biazzi Vergani, Egisto Corradi, Mario Cervi, Antonio Spinosa, Gianfranco Piazzesi, Guido Azzolini, Eugenio Melani, Giancarlo Masini, Pietro Radius, Angelo Corigliano. In pratica, gran parte delle firme più prestigiose di via Solferino. Il tempo di riflettere come contrastare il filone montanelliano (arrivato a turarsi il naso ma votare Dc contro l’avanzare delle sinistre) ed ecco nel gennaio 1976 la grande intuizione di Eugenio Scalfari. La nascita del quotidiano La Repubblica, grazie alla creazione di una società tra Mondadori e L’Espresso e le entrature economiche del principe Carlo Caracciolo.

Giornale subito innovativo come formato (tabloid tipo Le Monde), elegante nei caratteri, di rottura del tran tran del giornalismo italiano. E come scrisse nel libro Il giornalismo, un maestro come Carlo Barbieri “devoto, con maliziosa intelligenza a una decisa linea di sinistra, con flessibilità o affondi che rispondono a una politica con qualche azzeccata vignetta di Forattini di scontro con i comunisti (scherzi che però hanno l’aria di dispettucci tra fidanzati)”.

Repubblica resterà nel tempo un giornale molto scritto, pieno di commenti, con l’editoriale domenicale del “patriarca” che si era circondato di una redazione di fedeli e allineati alla linea editoriale di “giornale-partito” della sinistra. A Scalfari è legata l’inchiesta dell’Espresso sul Sifar che dominò la campagna elettorale del 1968 e soprattutto le “Interviste ai potenti” apparse su Repubblica in un periodo drammatico compreso tra il gennaio 1976 e l’aprile del 1979. In quella fase c’è di tutto: lo scioglimento anticipato delle Camere, l’ingresso del Pci nella maggioranza di governo, il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro con le politiche sulla linea della fermezza sposata dal partito di Enrico Berlinguer e dal quotidiano di Piazza Indipendenza. Ma anche l’austerity, il deficit pubblico, gli scandali, le dimissioni del presidente della Repubblica Giovanni Leone e la famosa conversazione con Luciano Lama cacciato dagli studenti metropolitani dalla Sapienza nel 1977.

Scalfari più politico che giornalista? Tutte e due. Amava farsi corteggiare, soprattutto negli ultimi tempi, quando arrivò a intervistare Papa Francesco e il libro su Dio. Era diventato filosofo nel suo “buon” ritiro dei Castelli romani. Gli ultimi editoriali erano diventati “dei lenzuoli sfogatoio”. Un grande, un maestro per generazioni di giornalisti purché “democratici e di sinistra”.

Aggiornato il 15 luglio 2022 alle ore 13:35