Al di là della società “Anomica”

L’uomo ha bisogno di miti, illusioni, scopi esaltanti, diversamente è come assistere alla conta della morte. Occorre illudersi che esistono, esigendo i nostri sforzi, ragioni per vivere. All’uomo non basta esistere, esistere è sufficiente per le piante e, forse, per gli animali (no, vogliono “vivere”), ma raggiunta la sopravvivenza occorre salire alla “vita” e ghermire fini che giustificano l’adesione all’esistenza oltre la semplice sopravvivenza. L’uomo è un ente naturale associato e cosciente. E tali aspetti richiedono soddisfacimento. Come ente naturale deve sopravvivere; come ente associato deve forgiare scopi comuni; come ente cosciente non vive soltanto di impulsi ma di motivi vagliati, non spontanei radicalmente. L’insieme complica la nostra situazione. Dico: noi popoli sviluppati, i quali hanno, o avevano, rassicurata la sopravvivenza.

I popoli affamati, assetati trovano nel bisogno di sopravvivere le ragioni per vivere. Terribile. Noi che abbiamo avuto e ancora manteniamo qualche benessere, perdiamo la tensione alla sopravvivenza e non necessariamente perveniamo alla tensione oltre la sopravvivenza. In sociologia, esiste un termine, “anomia”, adattissimo a tale situazione: perdita di orientamento, un non essere dell’identità, un mutamento di condizione che è smarrimento di chi essere e voler essere, brancoliamo, sì che perdiamo forza, giacché è forte chi è nel se stesso. Concretizziamo, rendiamo storica la “anomia” (la rese celebre Émile Durkheim ma il termine non è di Durkheim, è di Jean-Marie Guyau). Noi europei oggi letteralmente non sappiamo che vogliamo, non sappiamo chi siamo, non sappiamo chi vorremmo essere. Non esiste campo nel quale non siamo anomici.

La sessualità distinta fondamentalmente nella sessualità uomo-donna? Blasfemia. Esisterebbero orientamenti ma non in ciascuno specifici, ma in ciascuno molteplici, “un” individuo non è soltanto maschio o femmina, piuttosto maschio-femmina, femmina-maschio, né femmina né maschio, uomo con i seni, uomo che partorisce... Può darsi che tra decenni, o secoli, ci adatteremo a tante varietà, preciso: non varietà differenziate in soggetti differenziati ma in un solo individuo, polimorfia, altrimenti saremmo nella normale varietà distinta, uomo, donna, omosessuale, lesbica, eccetera, no, si vorrebbe uomodonna e altro in un solo soggetto, questa la novità anomica, la chimera disorientativa, equivoca. Lo stesso per l’alimentazione. Non la distinzione degli alimenti, normale, naturale, vermi, carne di maiale, potrebbero schifare ma sono precisabili, no, siamo nell’alterazione degli alimenti, carne sintetica, latte dai piselli secchi, insomma la transgenesi... Questa compresenza di opposti, questa alterazione ci sta disorientando, disidentificando.

Peggio con riguardo alle immigrazioni. Un eccesso in tale dimensione fa smarrire la connotazione della propria società. Ma se questo tipo di anomia ci dissolve (e non dico sull’anomia politica, lo Stato non più legislatore in casa propria, il “disovranismo”) vi è un aspetto che può annientarci. A differenza dei popoli che affamati centrano la lotta per sopravvivere intensamente noi abbiamo perduto l’istinto di sopravvivenza, la volontà di sopravvivere. Non siamo attrezzati alla lotta per la sopravvivenza. Questa è l’anomia più rovinosa, la perdita dell’istinto di sopravvivenza. Se sono anomici, un individuo o un gruppo che non mantengono forze specifiche reattive, non sanno che fare, brancolano, diventiamo debolissimi, la confusione anomica ci fa perdere l’istinto di salvezza, ripeto.

Si spiega allora facilmente che se è vero, ed in parte è vero, che la presente guerra causa distruzione, miseria, pericolo di guerre estreme e non se ne colgono i vantaggi, eppure non insorgiamo contro la guerra vuol dire che abbiam perduto e abbiamo perduto la difesa di noi stessi e non sappiamo chi e cosa difendere, non sappiamo volere alcunché di precisabile. Davvero: ce ci ripromettiamo da “questa” guerra? Il pericolo, un incubo: che persino situazioni estreme non stimolino reazioni estreme. Che l’uomo europeo diventi carne tritata, pastosa, molliccia, adattabilissima, priva di ossa. Quando si temono reazioni popolari bisognerebbe invece auspicarle, se provengono dall’istinto di conservazione, intendiamoci. L’orrore è un popolo anomico rispetto all’orrore. Irreattivo. O, data la mancanza di identità, facilmente direzionabile. Andiamo a ulteriore esemplificazioni.

È concepibile accettare, noi che abbiamo bisogno delle fonti di energie russe, di accettare l’imperativo statunitense della negazione commerciale a riguardo con la Russia, laddove gli Stati Uniti possono non commerciare non avendo bisogno delle fonti di energie russe! È una decisione talmente suicida e diseguagliante che solo soggetti ingarbugliati, anomici, insisto, possono decidere Non intendo sotto la categoria della “anomia” coinvolgere l’intera società europea, ma se devessi storicizzare con un criterio interpretativo sosterrei che siamo nel marasma (anomia) al punto da non avere neanche chiara la via di scampo dell’istinto di salvezza. Sì, abbiamo perso l’istinto di salvezza. Tutto ciò che sta accadendo da noi è contro di noi ad opera nostra. Lo gridano i fatti. E siamo all’inizio del cammino nel buio.

Eccesso di critica? No. Mancanza radicale di scopi entusiasmanti collettivi. Bisogna ridare un valore sacrale alla società. Religione politica. Politica carismatica. Politica estetica. L’economia come mezzo, l’arte come fine. Noi europei siamo stati tali: economia come mezzo, arte come fine. Le nostre religioni, pagane e cristiane, hanno vissuto queste metamorfosi. Inoltre, associare la libertà all’indipendenza. E la nostra indipendenza è l’arte, l’Europa si identifica nell’arte. Dobbiamo ritrovarci. Quando nell’Ottocento la cosiddetta macchinizzazione cominciò a pervadere le società, tutti, tutti i pensatori concepirono l’arte come valore fondamentale, non contro l’economia o la scienza ma come valore vitale e perfino associativo.

Al dunque. Occorre un valore fondante collettivo, una meta, una connotazione nostra, europea. Il continente dell’arte. O di che, se no? L’arte non rende buoni ma fa considerare misero chi battaglia tanto e non è capisce di vivere la condizione, con l’amore, più riuscita dell’esistenza: l’ascolto, la vista della bellezza. Del resto: greci, romani, cristianesimo nelle incarnazione cattolica, protestante, ortodossa che hanno generato e consegnato? Arte. L’arte, l’unica manifestazione dell’uomo che tramuta il dolore in felicità. Ripeto: che altro?

Aggiornato il 15 luglio 2022 alle ore 19:19