Il mondo della cultura e dello spettacolo ha perduto uno dei personaggi più “rivoluzionari” del Novecento. Angelo Guglielmi aveva fatto parte, come intellettuale, del Gruppo 63 con Umberto Eco, Edoardo Sanguinetti, Alberto Arbasino, Giorgio Manganelli. Cresciuto a Bologna finirà per fare l’assessore alla cultura al Comune bolognese chiamato dal sindaco Sergio Cofferati dopo la sua militanza da leader della Cgil. Aveva iniziato la sua attività da programmista regista alla Rai vincendo un concorso per autori di televisione. Restò a Viale Mazzini per circa quarant’anni, stravolgendo il modo di fare televisione con quella che venne chiamata “tivù verità”, derivata dall’affermazione di Pier Paolo Pasolini secondo cui bisogna “raccontare la realtà attraverso la realtà”. I programmi che inventarono Guglielmi e il suo vice Stefano Balassone rappresentarono veramente la realtà com’era? Sì e no. I palinsesti della Terza rete si sono distinti per molti anni per capacità innovative, ma anche per una linea editoriale legata all’ideologia marxista.

Autori, giornalisti, programmisti scelti sempre con l’obiettivo di indirizzare la tivù verso realtà sociali e politiche inserite in quello che veniva chiamato in maniera gramsciana “l’intellettuale organico”. Questo non toglie i meriti di una effervescente creatività e di un’analisi della politica italiana vista con gli occhi della “gente” come suggeriva l’altro compagno della Terza rete, il direttore di Telekabul Sandro Curzi, una lunga militanza a Paese sera e a Radio Praga. Per Angelo Guglielmi, da Samarcanda a Telefono giallo, da Blob a Mi manda Lubrano, da Rosso e nero a Chi l’ha visto?, dalle Tv delle ragazze al Portalettere una stagione irripetibile. Con una premessa, mai rinnegata, da Guglielmi e da Curzi: la Terza rete attribuita dal direttore generale Biagio Agnes all’area del Pci, sulla base di un accordo politico tra De Mita-Craxi-Berlinguer (per quest’ultimo trattavano il suo portavoce Antonio Tatò e il giovanissimo responsabile delle telecomunicazioni Walter Veltroni).

Era il 1987 quando Angelo Guglielmi, che fino a quel momento si era occupato per Raiuno di varietà, sceneggiati e tal show con Maurizio Costanzo divenne direttore di Raitre, una rete che all’ora faceva appena il 2 per cento di share, essendo nata all’insegna del localismo regionale e con un Telegiornale nazionale partito con il trio Agnes-Curzi-Guerra nel dicembre del 1979. La tivù delle Regioni venne sorpassata dalla scommessa di Guglielmi che impostò i vari programmi allo scopo di raccontare il contesto sociale visto dall’altra faccia del Tg1 e del Tg2 dopo la riforma del 1975. Guglielmi impone, quindi, una spettacolarizzazione della realtà, con appuntamenti in diretta e in mezzo alla gente.

Un cambiamento molto radicale che verso la metà degli anni Ottanta trovò conduttori come Giovanni Mantovani, mentore di Michele Santoro arrivato dall’organo del Pci, La voce della Campania, come Gad Lerner, il napoletano Antonio Lubrano e il suo programmi di problemi sociali, come Corrado Augias, Alessandro Barricco che portò per primo i libri in tivù e il “folletto” piemontese Piero Chiambretti e il suo Portalettere. Programmi spesso sperimentali. Poi intorno all’inizio degli anni Novanta Guglielmi pensò che si poteva fare anche varietà sulla Terza rete ed ecco la Piscina con Alba Parietti e i programmi di Serena Dandini con Corrado Guzzanti ma anche Svalutation di Adriano Celentano, il salotto di Catherine Spaak, Quelli del calcio... e poi Che tempo che fa di Fabio Fazio. Per Guglielmi politica e attualità erano un binomio inscindibile, spesso irriverente e fazioso.

Aggiornato il 12 luglio 2022 alle ore 11:37