Non comprimere ma esprimere

In questo turbinio di opinioni, avete letto che per intendere la situazione odierna – come del resto di ogni epoca – sarebbe anche appropriato tener conto della relazione tra strumenti di produzione e rapporti di produzione? No. La mia generazione ebbe la fortunosa circostanza di studiare personalità realistiche, interpreti effettivi dell’uomo e della società. Adam Smith, Karl Marx, Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud. Sembra un luogo comune, invece servono a comprendere come nessun altro successivo. In ogni caso, me ne occupai, e di Marx, Nietzsche, Freud scrissi le biografie, vita e opere, con immedesimazione, di Smith saggi perenni. Mi fermo a Smith e a Marx: il capitalismo tende alla universalizzazione, al commercio mondiale, alla diffusione planetaria (Smith); il capitalismo evidenzia estremamente un elemento decisivo, al mutare degli strumenti di produzione devono mutare i rapporti di produzione, vale a dire: se produco con strumenti che sostituiscono strumenti del passato, questi ultimi decadono e decadono i soggetti che li usavano (se i treni sostituiscono le diligenze, le diligenze e i conduttori svaniscono, ciò vale anche per ceti, classi sociali, leggi, istituzioni).

Se i nuovi mezzi di produzione hanno possibilità dilaganti, non possono venire compressi da forme giuridiche e economiche adatte a sistemi produttivi sorpassati (se le industrie producono enormemente rispetto all’artigianato non solo spariscono gli artigiani ma la produzione necessita di spazi ampi, finisce il feudalesimo, abbiamo il mercato nazionale, continentale, mondiale adequato alla potenza produttiva). Siamo in una di queste fasi, drammaticissima. Gli Stati Uniti, potentissimi produttivamente, cercano di controllare il mercato mondiale impedendo ad altri Paesi di espandersi, attuando sanzioni se vogliono espandersi. Porre un limite alla altrui potenza produttiva, che, invece, aumenta e cerca di oltrepassare. Quella degli Stati Uniti è, paradossalmente, l’antitesi del capitalismo secondo Adam Smith, il concorso concorrenziale nel mercato mondiale. Ed è l’antitesi della concezione di Marx, ovvero che il mutamento degli strumenti di produzione costringe al mutamento dei rapporti di produzione (se la Cina ha strumenti di produzione idonei, efficienti, cambiano i rapporti rispetto all’epoca in cui non produceva).

Insomma, gli Stati Uniti cercano di impedire che il mutamento, il potenziamento degli strumenti di produzione altrui abbiano effetti sui rapporti di produzione. È inconcepibile, impossibile, non è possibile impedire alla Russia di vendere le materie prime, alla Cina di vendere merci convenienti. Anzi, è possibile, ma con la violenza, sanzioni, guerra. Con una contraddizione inevitabile: che gli Stati Uniti a loro volta hanno bisogno di merci convenienti e di mercati, e ne hanno bisogno tutti i Paesi, in quanto, dicevo, gli strumenti di produzione sono produttivissimi e hanno bisogno di materie prime, di merci, di ricevere e produrre, di importare ed esportare. Sicché impedire il mercato mondiale in presenza di strumenti produttivi di portata mondiale costituisce una contraddizione esplosiva (oltretutto se una potenza vuole dominare il mercato mondiale) non può essere fatto se non con la violenza.

Ecco il dilemma odierno, strumenti di produzione possenti di molti Paesi ma gli Stati Uniti non accettano la concorrenza, il mutamento dei rapporti, che Cina e Russia abbiamo mercato (recentissimamente dicono di avere la Cina quale Paese competitivo, la Russia da eliminare, vedremo). Comunque, una contraddizione, una posizione antistorica. Frenare la potenza produttiva altrui all’epoca della massima potenza produttiva. I rapporti tra i Paesi seguono il mutamento della loro capacità produttiva. Non è possibile separare le due realtà se non coartandole. Guerra e sanzioni. Pericolosissimo (in qualche mese la maggiore economia europea, quella tedesca, è semi annientata). C’è via di scampo?

Ah, finalmente, il sogno di Prometeo, compiuto, eccolo, sotto i miei occhi. Macchinari ventricolari, budellosi, ramificati, e la scintilla portentosa, la materia che genera energia, e di nuovo, il percorso del Sole, la fusione. Lo abbiamo imprigionato, noi uomini ingegnosi, il sole. Eccolo, sotto i miei occhi, energia perenne, immortale. Luce dappertutto, industrie, per quella accensione che rifaceva energia. Basta uomo, riposati, hai faticato millenni, le tue braccia sono sfinite. Abbiamo raggiunto il fuoco eterno che darà forza a ogni impresa. Goditi la vita, viaggia nel firmamento, guarda da vicino le stelle, e vedi la Terra da cittadino dell’universo. Non resterai cittadino della Terra ma dell’insieme sopramondano, dalla finestra vedrai comete e nebulose, stelle infiammarsi, astri sospesi nell’immensità e vuoti silenziosissimi, cimiteri dello spazio. Accresciti di ogni angolo dell’universo, hai conquistato l’infinito, sei abitatore dello spazio, la tua nuova destinazione, il tuo scopo umano generale, che unirà la specie umana.

Noi, cittadini dello spazio con passaporti del cosmo. Profitta dell’energia inconsumabile. Immagina, non l’esplosione per la guerra, ma la fusione per l’avventura nello spazio sconfinato. Cerca di stare all’altezza delle tue conquiste, non puoi affossarti in litigi secondari, ti spetta l’universo, non ti arrovellare per qualche metro terrestre, fai godere a tutta l’umanità le conquiste che possono giovare a tutto il globo. Tutto si risolverà se darai a tutti la possibilità di vivere come sarebbe ormai possibile con i mezzi che abbiamo raggiunto. Se non lo faremo, rovina. Di tutti, di molti? Non so. È tempo della grande meta universale e della potenza produttiva per tutto il mondo. Se freniamo, impediamo, limitiamo, esploderemo.

Bisogna adeguare i fini ai mezzi. Mezzi troppo possenti per fini microscopici suscitano contorsione. Se abbiamo mezzi che possono favorire tutta l’umanità, tutta l’umanità sia favorita da tali mezzi. Questo penso. Questo scrivo. Questo sogno. Questo è necessario. Non possiamo comprimere la potenza produttiva di quanti possono produrre. Bisogna invece dilagare chi può avere bene dalla potenza produttiva, la povera umanità bisognosa. Favorendone lo sviluppo. La domanda e l’immensa offerta. Se impoveriamo non vi è domanda, l’offerta si agita a vuoto, e crolla, e crolla tutto, grandi mezzi per la rovina mondiale, invece di grandi mezzi per il benessere mondiale. Produrre dappertutto, scambiare tutti, chi avanza avanza. Non possiamo fermare il divenire. Non riusciremmo. Esploderebbe. Esploderemmo.

Uno sviluppo planetario, il mondialismo vasto, zebrato, non plagiato da un colore. Smith, Comte, Marx a braccetto. È la sola realtà concepibile da volere. Se intendiamo stabilire l’umanità nel futuro. Non opprimere ma esprimere la potenza dei mezzi di produzione. Se rifaremo l’energia eterna a imitazione del sole che faremo, la freneremo, se la terrà in cassaforte un solo Paese, ma via, mettiamo i mezzi produttivi a disposizione di tutta l’umanità, solo titaneggiando la domanda l’offerta verrà accontentata, è la missione, armonia tra offerta e domanda nell’intero pianeta. Se abbiamo palese il fine i mezzi li inventeremo. Non procedere come al presente, ossia: non procedere. Maniere invecchiate per tempi vecchi. Mai l’umanità ha concepito mezzi produttivi cosi strepitosi, occorre adeguare i rapporti. E se ciò arrecasse scontro dei produttori, se l’automazione invalidasse l’occupazione? Questi i veri problemi che una società mondiale leale con se stessa dovrebbe vedere e risolvere, senza immaginare falcidia della specie umana o profitti con miliardi di uomini poveri e nazioni invalidate.

Ormai l’umanità dovrebbe combattere mali mondiali con accordi mondiali, non supremazie. Domanda potenziata, automazione, esuberanza produttiva, assorbimento della produzione ampliando la sfera del consumo di quanti oggi sono poveri, domani non devono esserlo. La “domanda” è l’incubo del futuro, non risolta con denaro carta ma con beni reali, con sviluppo ovunque. Se poi produrremo eccessivamente, ebbene, consumeremo eccessivamente. Abbiamo inventato le macchine, per sostituire gli uomini o per gli uomini? E infine, uno scopo comune, una religionepolitica”, l’avventura nello spazio, la religione del XXII secolo. Non vedo l’ora. E voglio viverla. In fondo si tratta di cent’anni, e sia. Dobbiamo superare questo momento tragico e impantanato.

Aggiornato il 12 luglio 2022 alle ore 12:45