Per diagnosticare l’Alzheimer basta una risonanza

D’ora in poi per diagnosticare il morbo di Alzheimer basterà una semplice scansione cerebrale. A sperimentare con successo questo nuovo metodo sono stati gli scienziati dell’Imperial College di Londra, che hanno pubblicato un articolo sulla rivista Nature Communications Medicine per descrivere i risultati del loro lavoro. Lo studioso Eric Aboagye e il suo team hanno messo a punto una tecnica che utilizza la tecnologia dell’apprendimento automatico per esaminare le caratteristiche strutturali del cervello, capace di analizzare anche delle regioni che precedentemente non erano associate alla forma di demenza.

Sfortunatamente, la cura per questo morbo ancora non è stata scoperta, ma la diagnosi in fase precoce costituisce un vantaggio non da poco per i pazienti, che possono essere così avviati verso un percorso di trattamento mirato. Le persone affette da Alzheimer, generalmente, sono vittime di perdita di memoria, difficoltà a ragionare e problemi con il linguaggio. Il nuovo approccio collaudato dagli scienziati d’Oltremanica permette di diagnosticare la malattia tramite una risonanza magnetica cerebrale (Mri) eseguita su una macchina standard.

I ricercatori hanno adattato un algoritmo sviluppato per l’uso nella classificazione dei tumori. Prima hanno costruito una suddivisione del cervello in 115 regioni e 660 caratteristiche diverse, per poi addestrare lo schema sistematico di calcolo a identificare il modo in cui le modifiche alle peculiarità di ogni regione potessero prevedere la comparsa di sintomi associati all’Alzheimer.

Utilizzando i dati dell’Alzheimer’s disease neuroimaging initiative, il team ha testato il proprio approccio sulle risonanze magnetiche di oltre 400 pazienti. Il risultato di quest’esperimento è stato chiaro: l’esame era in grado di prevedere il rischio di Alzheimer con un tasso di precisione del 98 per cento. L’algoritmo era in grado di distinguere tra la malattia allo stadio iniziale e la condizione avanzata nel 79 per cento del campione. “La nostra ricerca rappresenta un significativo passo in avanti – ha commentato Aboagye – che potrebbe semplificare il processo di diagnosi. Se riuscissimo a ridurre le tempistiche di attesa, potremmo aiutare moltissime persone a individuare il percorso di trattamento più efficace. Continueremo a valutare questo metodo, che sembra molto promettente”.

Aggiornato il 21 giugno 2022 alle ore 12:36