Italia: ogni due settimane un figlio muore per mano del genitore

L’Eures, Ricerche economiche e sociali, ha aggiornato i dati sul drammatico fenomeno delle uccisioni di figli da parte di genitori: dal 2010 sono state 268 le vittime totali, per una media di quasi uno ogni due settimane. Centocinquantuno le vittime sono i maschi (56,8 per cento), 117 invece le femmine (43,7 per cento); 149 (ovvero il 55,6 per cento dei casi) erano bambini con meno di 12 anni: nel dettaglio 106 di età compresa tra 0 e 5 anni (il 39,7 per cento) e 43 tra 6 e 11 anni (16,2 per cento).

Il rapporto evidenzia anche che, nello stesso periodo, le vittime adolescenti sono state 26 (ovvero il 9,6 per cento) mentre i figli maggiorenni uccisi sono stati 93 (il 34,4 per cento): la casistica parla spesso di genitori anziani, incapaci di prendersi cura o di sostenere fragilità fisiche e mentali o la dipendenza dei propri figli.

Le madri sono le responsabili prevalenti delle uccisioni perpetuate ai danni dei bambini più piccoli, nella fascia di età dai 0 ai 5 anni  sono 61 casi, ovvero il 57,5 per cento, contro i 45 commessi dai padri, pari al 42,5 per cento. La proporzione si capovolge con l’innalzarsi dell’età del figlio ed i padri risultano aver commesso 172 omicidi (64,2 per cento) contro i 96 delle madri (35,8 per cento).

Il suicidio, che frequentemente segue l’omicidio, avviene del 43,3 per cento dei casi: sono soprattutto i padri ad architettare la propria morte dopo l’uccisione del figlio (48,8 per cento dei casi, contro il 33,3 per cento delle madri). In molte situazioni si tratta di “suicidi allargati”, in cui i figli e spesso le mogli/ex mogli fanno parte di un piano che prevede l’annientamento dell’intero nucleo familiare.

Ma cosa spinge dei genitori a procurare la morte ai propri figli? Nel 34,3 per cento dei casi il movente per i padri è da attribuire ad un disturbo psichico dell’autore (depressione o altro disturbo psicologico). Percentuale che sale al 54,2 per cento per le madri. Inoltre, hanno estrema rilevanza i cosiddetti “omicidi per possesso” (circa il 14, 6 per cento dei casi) e riguardano quasi esclusivamente autori uomini. Spiegano i ricercatori dell’Eures: “All’interno di una relazione di coppia “malata” i figli non sono considerati come soggetti a sé, ma come l’estensione del coniuge o dell’ex coniuge che si vuole punire/annientare, tanto che nella quasi totalità dei casi tali delitti rappresentano stragi familiari, che coinvolgono anche l’altro genitore e si concludono con il suicidio dello stesso autore”. Gli altri moventi (liti e dissapori, disagio della vittima, interesse o denaro) si registrano quasi esclusivamente quando l'autore è il padre e quando la vittima è maggiorenne.

Differenze di genere anche per quanto riguarda le armi utilizzate: gli uomini utilizzano principalmente armi da fuoco (42,4 per cento dei casi, contro l’8,3 per cento delle madri), ma non adottano le modalità femminili che ricorrono spesso al soffocamento del figlio. Per quanto riguarda la distribuzione geografica, si registra una prevalenza dei casi al Nord (121, pari al 45,1 per cento), seguito dal Sud (92, pari al 34,3 per cento) e dal Centro (55 casi, pari al 20,5 per cento). A livello regionale, circa una vittima su 5 è stata uccisa in Lombardia; segue la Sicilia, la Campania, il Lazio, l’Emilia-Romagna e il Piemonte.

Aggiornato il 19 dicembre 2023 alle ore 19:39