Scuola selettiva e classi economiche meno avvantaggiate

Sfatiamo un mito: la scuola pubblica selettiva non è di destra. Lo aveva ben capito Antonio Gramsci, fondatore del Partito Comunista italiano, che l’emancipazione delle classi popolari passava dall’istruzione. Un proletariato poco istruito non avrebbe mai potuto competere con le classi più avvantaggiate detentrici delle leve del potere, per cui, secondo Gramsci, era necessario acculturare e formare il popolo per renderlo all’altezza della sfida storica che lo attendeva. Per centrare l’obiettivo, l’ideologo comunista riteneva che le classi popolari dovessero affrontare percorsi scolastici molto duri, che le mettessero nelle condizioni di superare nella formazione le classi più abbienti.

Oggi il pensiero di Gramsci sembra superato da una corrente di pensiero che vuole una scuola facile, alla portata di tutti e, soprattutto, non selettiva. Eppure, una scuola livellata verso il basso continuerà ad avvantaggiare i figli delle classi abbienti, che nella vita godono di un maggior ventaglio di opportunità rispetto alla generalità dei loro coetanei. Una scuola pubblica seria e che insegni il rispetto delle regole di civile convivenza è nell’interesse delle classi popolari, mentre i figli dei ricchi troveranno sempre il modo di raggiungere posizioni di rilievo nella società.

Certo, se l’orizzonte è quello di accontentarsi di qualche forma di sussidio pubblico o di ritenere che studiare non serva a nulla, allora va benissimo la massificazione verso il basso. Chi avrà le possibilità economiche frequenterà i licei e le università più prestigiose, gettando così le basi per perpetuare la propria condizione familiare. Coloro che, invece, non potranno permetterselo, continueranno ad alimentare la massa dei soggetti che altro non avranno da offrire che le proprie braccia. Una scuola che massifica e non premia chi è meritevole non fa che riprodurre le differenze sociali.

Aggiornato il 12 aprile 2022 alle ore 10:32