Il lavoro torni al centro dell’agenda

Le parole cambiano e si adattano a nuovi significati. Nell’Ottocento e nella prima parte del Novecento, ad esempio, era in voga il termine proletariato per descrivere la classe sociale meno abbiente, in contrapposizione alle minoranze che detenevano il potere economico. Poi, con la rivoluzione industriale del Secondo dopoguerra, si è iniziato a parlare di classe operaia per identificare coloro che prestavano l’attività lavorativa alle dipendenze di un datore di lavoro, spesso identificato con il termine di “padrone”. Dopodiché si è passati all’espressione più neutra di “mondo del lavoro”, che di fatto ha superato la divisione in classi ricomprendendo al suo interno anche i piccoli imprenditori e gli artigiani.

Oggi, però, anche parlare di mondo del lavoro sembra d’antan e l’espressione è sempre più relegata al linguaggio sindacale. I giovani, che pur dovrebbero essere i più diretti interessati, non utilizzano questa espressione, il ché induce a pensare che nei prossimi anni sparirà del tutto. In attesa che si affermi una nuova terminologia, c’è da chiedersi se sia un bene che le parole lavoro e lavoratore stiano scomparendo dal vocabolario. A qualcuno potrà far piacere che si stia affievolendo il significato ideologico di questi termini, ma il loro significato intrinseco è, e rimane, altamente nobile.

Il lavoro va rimesso al centro dell’agenda politica con il rango che gli compete. È il lavoro il fattore che decreta il successo o l’arretramento di un Paese e anche la realizzazione delle persone. Va trattato con rispetto, aiutato, agevolato e anche gratificato. Restituiamogli la dignità che una società distratta e spesso superficiale tende a non riconoscere più.

Aggiornato il 01 aprile 2022 alle ore 10:58