Rendere sociale il trionfo della tecnica

Poiché siamo in un momento, speriamo, vogliamo che sia un momento, nel quale fantasia e fantasticheria politiche e belliche si ipotizzano a fiotti, l’eventuale guerra tra la Russia e i paesi europei sarebbe un dono alla Cina e forse agli Stati Uniti, può sembrare assurdo, siamo legati agli Stati Uniti, ma gli Stati Uniti avrebbero in tal modo vulnerato la Russia e soprattutto avrebbero scongiurato l’eventuale accordo tra Russia ed Europa, accordo angosciosamente, forse a ragione, loro colgono rovinoso per se stessi e per l’Europa, e può darsi che abbiano ragione, dico, in quanto se ne avvantaggerebbe la Russia, possidente di disseminate materie prime. Sarebbe, però, un aver ragione pagato a prezzo di guerra e di crisi europea. E sia. Resterebbero Cina e Stati Uniti e in tal caso o vi sarà una guerra vita-morte o si metteranno d’accordo per spartirsi il mondo.

Bisogna avere il coraggio dello sguardo alla “grande politica”: è possibile un conflitto intraeuropeo, Europa-Russia, che lascerebbe sul terreno sani Stati Uniti e Cina. Lo vogliano entrambi o avvenga senza volerlo, se la situazione monta come accade, ma i cambiamenti sono possibili, il fenomeno susciterà un conflitto intraeuropeo. A tal punto ipotizzo, per esercizio sociologico, degli scenari. L’Europa può dire: Signori miei, io faccio la guerra se la fanno anche gli Stati Uniti (i quali insistono molto nel dire che non danno guerra). Sarebbe un colpo di teatro. Infatti, a linea di ragionamento, la Nato contiene gli Stati Uniti, perché mai una guerra eventuale della Nato dovrebbe svolgersi soltanto in suolo europeo? A meno che gli Stati Uniti anche se ripetono che non si schiererebbero lo farebbero.

Opportuno saperlo. Ma anche opportuno celarlo. Una guerra soltanto in Europa davvero sconsiderato farla, se è una guerra dell’Occidente sia di tutto l’Occidente. Ma sarebbe la guerra mondiale? Già! Come non pensarci. Dunque per evitare la guerra mondiale facciamo guerra “locale” noi europei? Interessante, ipotesi notevole. Sarebbe un suicidio, ma esiste anche il suicidio. Oltretutto, che farebbe la Cina? Interverrebbe? Solo in tal caso interverrebbero gli Stati Uniti o neanche in tal caso? Ma se invece di questi scenari da tragedia elisabettiana planetaria gli ucraini gridassero: Non dateci armi per combattere soltanto noi, o combattete anche voi o invece di spezzare famiglie, rompere città, crepare di gelo e fame, venire uccisi e pensare ad uccidere, lasciate che troviamo un accordo, è da secoli che con la Russia volgiamo in un modo o nell’altro le vicende, armarci e morire noi farà da scena a mostrare quanto sono malvagi i russi e coraggiosi noi, e i popoli ci amano, ma basta, abbiamo sofferto, soffriamo, o combattete con noi, o faremo la pace senza di voi. Così, per onestà e senza disonore, potrebbero parlare gli ucraini.

Continuare l’esposizione delle sofferenze di un popolo per mostrare la ferocia del loro nemico, cessiamo. Altrimenti, per non mentire, mostriamo anche le immagini degli afghani lasciati da noi, asserviti, mostriamole ogni giorno, a palesare quanto soccorriamo gli oppressi! Al dunque, sarebbe umiliante un accordo, un accordo di neutralità, rinuncia ad armare l’Ucraina di soppiatto, tutela dei russofoni, la Crimea russa, lo sbocco al mare? Definire gli scopi della Russia. Se vuole di più, mai. Sarebbe cedere? Se la mettiamo sul punto di onore, nei termini vittoria-sconfitta (dovevamo impedire si giungesse a tale condizione psicologica) non vi sarà che la guerra. Ma non intendo seguire tali evenienze, relativamente di cronaca, se non ci piomba la guerra piena, per quanto gravissime siano queste evenienze purtroppo ne esistono assai maggiori in gravità, e non saranno dissolte da una auspicabilissima pace. Il problema è altrove. Lo formulo.

I sistemi produttivi sono mondiali. Coprono interi continenti, sono realmente multinazionali, bisognano di molte Nazioni per propagare le merci, è questione di mercati, la globalizzazione. La globalizzazione non è un’invenzione, è coessenziale allo sviluppo dei mezzi produttivi idonei a produrre per il mondo intero e non possono produrre meno a rischio di contrarsi. Quindi vanno alla conquista di mercati e tentano di farsi competitivi per vincere. Nel contempo è insorto un caso epocale, l’impiego di macchine autosufficienti sostitutive degli uomini. I sistemi produttivi producono maggiormente con meno occupati! Strabiliante. Secondo la normale economia politica classica si produce maggiormente con una maggiore quantità di forza lavoro umana. No. Si produce di più con minore forza lavoro umana e più macchine. Se mettiamo insieme automazione disoccupativa ed enorme produzione dovuta alle macchine, ne risulta che vi sono troppe persone rispetto all’impiego nei sistemi produttivi quindi troppe persone impoverite che non possono consumare ma troppe merci che devono ottenere utilizzo. Lo scontro per ottenere mercati e impedire ad altri di ottenerli diventa farneticante.

Il mondo è troppo piccolo per contenere l’immane produzione, si lotta per togliere dal mercato dei paesi, ad esempio gli Stati Uniti tentano di eliminare dal mercato la Russia. Normale, fa parte della situazione conflittuale del tentativo di avere mercati. Sanzioni e guerre rientrano nel girotondo. E predazione di materie prime. E quant’altro. Ma non si concluderebbe alcunché. Resta l’ostacolo insuperabile: l’automazione disoccupativa. La produzione non ha o ha sempre meno acquirenti in grado di acquistare, appunto. Stiamo lottando sulle rive del nulla. Se non vi è una modificazione nei sistemi produttivi rischiamo di ammazzarci a fondo perduto.

Perché? Perché se il lavoro non è più a fondamento della produzione ma la produzione e la produttività dipendono dalle macchine che faremo dei disoccupati da tecnologia? E su che basi stabilire il salario se in qualche minuto con una macchina si produce molto? Conta l’orario o la produzione e la produttività, e produzione e produttività di chi, delle macchine? Il rapporto dell’economia classica che il valore della merce dipende dal lavoro incamerato, sparisce. E salta pure la relazione tra profitto e occupazione. Infatti, si ha più profitto con meno occupazione. Al dunque, salta l’intero sistema capitalistico. A meno che non si compia una inversione apocalittica. Spingere all’estremo la potenza produttiva e complementarmente spingere all’estremo la possibilità di tutti o del massimo numero di fruire della produzione. Si produce di più. Bene. Si consumi di più. Ma se sono disoccupato o lavoro qualche ora non ho i mezzi per acquistare! Perfetto.

Ecco il muro contro cui sbatteremo. Se la produzione non trova acquirenti e l’automazione contrae gli acquirenti (disoccupazione da tecnologia) ecco la causa di un conflitto irrimediabile. Che è ben più estremo di quanto teorizzavano tra fine XIX secolo e gli inizi del XX, perché allora il lavoro manteneva rilevanza quindi l’occupazione mentre oggi oltre la conquista dei mercati vi è anche la penuria dei consumatori. Al dunque: massima produzione, minima consumazione. Escludiamole ipotesi sepolcrale: guerre, pandemie a seguire, per eliminare popolazione eccedente la possibilità di occupazione, vi è una diversa, mirabolante, e mirabile, prospettiva: produrre in modo superomistico, oceanizzare la produzione, minimizzare talmente il costo da rendere le merci quasi socializzate. Il robot, l’automazione al servizio dell’umanità. Il capitalismo, che è il massimo scatenamento di forze produttive giungerebbe al mito faustiano (di Goethe).

Soltanto così vi sarà armonia produzione-consumo. Questo sciancherà il profitto? Ma il profitto sarebbe invalidato comunque, se vi sarà disoccupazione di massa. No, forse ci sarebbe. Sulle rovine delle società. Pensare alla fusione nucleare che eliminerà il lavoro e consentirà produzione organica. A chi daremo la produzione, se non a una umanità che di sicuro lavorerà minimamente? Il tratto congiuntivo tra lavoro e produzione è finito. Bisogna commisurare i consumi su altre basi remunerativa dei cittadini Permettere consumi anche a chi lavora minimamente dato il polifenismo della produzione. Produrre moltissimo, produrre per tutti. Da vagliare. Di sicuro il capitalismo, inteso come sviluppo verticale delle forze produttive, ha vinto. Ora si tratta di rendere sociale questa vittoria.

Aggiornato il 16 marzo 2022 alle ore 13:39