Ai terroristi delle molotov “diciamo No”

Alla fine ce l’hanno fatta a sdoganare “il popolo delle molotov”, a santificare il pericoloso movimento terrorista. La direttrice su Rai 1 mostra entusiasta i giovani seduti in terra, gambe incrociate, che hanno smesso di intonare slogan e sono passati direttamente a confezionare col polistirolo bottiglie incendiarie rudimentali. Inizia così la domenica mattina della Terza guerra mondiale. Le informazioni, dice la giornalista che descrive questi ragazzi come coraggiosi e gloriosi, circolano su Internet. È facile, insomma, farsi un ordigno. Come se, nelle nostre piazze, appena si sbloccano i lockdown, non avessimo già episodi di brutale violenza. Le immagini scorrono tra primi piani: la bottiglia, il polistirolo, le mani dei ragazzi, delle donne, dei cittadini chiamati ad armarsi. Sono fermi e decisi, senza paura. Come intendono usare questi ordigni? Quando dalle loro case avvisteranno un nemico, potranno gettargli la molotov dalla finestra. Palazzo per palazzo, strada per strada. Un bagno di sangue nell’era dei più assurdi brividi. Ma questo è il tempo. Orribili brividi, micidiali.

Sulla prima pagina del più grande giornale progressista due sorridenti fidanzati ucraini si abbracciano e imbracciano due mitra. Si sono appena sposati e subito arruolati. Sono calmi, felici, perfino radiosi come fossero il manifesto di una marca casual. Mi risale dalla memoria “il bacio del marinaio e dell’infermiera”, la celebre foto di Life simbolo del Novecento, scattata da Alfred Eisenstaedt a Times Square il 14 agosto 1945 alla fine della Seconda Guerra mondiale. Le televisioni rilanciarono la vittoria sul Giappone e la fine della guerra, la gente scese in strada, il marinaio nella calca perse la fidanzata e, un po’ sbronzo, vedendo l’infermiera si avventò a baciarla. “Mi muovevo con la mia Leica e mi aggiravo a cercare una inquadratura. A un certo punto vidi qualcosa di bianco, quel bacio e scattai”, ha raccontato l’insigne fotografo. Lo stesso giorno mio nipote studia “il bacio” di Francesco Hayez, opera romantica del 1859. Mi fa notare il cavaliere che tiene il piede sul gradino e spiega che è pronto a partire per difendere gli ideali di patria e libertà. Baci dell’arte e della pittura come icone per scongiurare il ripetersi di ogni guerra. Ora invece i ragazzini sono eccitati dalle immagini dei palazzi dilaniati dal nemico cattivo presi direttamente dai loro giochi elettronici e trasmessi al posto delle immagini reali per cui si moriva per documentare la storia.

Ma le molotov davvero scuotono la memoria, perché appartengo a una generazione che ha identificato questi strumenti con le guerriglie violente che hanno insanguinato le nostre vite. Qualcuno ricorda l’attentato dell’Angelo Azzurro di Torino del primo ottobre 1977? Il presidente del Consiglio Regionale, Dino Sanlorenzo, comunista, lo definì “un atto terroristico” e la morte dello studente Roberto Crescenzio, di sinistra, fu indicata come l’apice di una terribile escalation. All’epoca era sindaco di Torino Diego Novelli, il quale fece un discorso memorabile in cui stigmatizzò dove avrebbe potuto portare la strategia del terrore. Quella mattina a Torino si tenevano manifestazioni in risposta all’uccisione di Walter Rossi, il compagno ucciso il giorno prima a Roma. Secondo le susseguenti indagini, il bar dell’Angelo Azzurro fu preso d’assalto da esponenti di Prima Linea perché ritenuto un ritrovo di militanti di destra. Invece, intrappolato rimase il povero Crescenzio, che si era rifugiato nella toilette e quando tentò la fuga rimase gravemente ustionato, anche se trasformato in una torcia umana riuscì a raggiungere via Po, dove venne soccorso da alcuni passanti, adagiato su una sedia e ricoverato all’Ospedale CTO. La morte sopraggiunse due giorni più tardi. Ai miei tempi solo pensare di fare una molotov era pericolosissimo, e se ti trovavano con una bottiglia con la benzina per il motorino a secco rischiavi la galera.

La molotov deve il suo nome al sovietico Vjačeslav Michajlovič Molotov, che durante la seconda guerra mondiale s’inventò questo marchingegno. Si usa una bottiglia e del liquido infiammabile, ma per aumentarne la nocività può essere introdotto anche del polistirolo, il quale a contatto con la benzina si incendia, generando un surrogato del napalm, che aderisce alla superficie con cui viene a contatto e la divora. Questo “inventore” era ministro degli Esteri e segretario alla Guerra dell’Unione Sovietica, ma pare che i veri precursori della bomba incendiaria furono i militari nazionalisti di Francisco Franco, i quali il 28 ottobre 1936 utilizzarono simili ordigni per contrastare i carri armati sovietici T-26 nella guerra civile spagnola. Qualche anno dopo, però, anche i soldati dell’esercito finlandese usarono con successo le bombe Molotov contro i carri dell’Armata Rossa in due conflitti (la guerra d’inverno e la successiva guerra al fianco delle armate tedesche) tra la Finlandia e l’Unione Sovietica.

Il “cocktail molotov”, come viene definito, è tutt’altro che un’arma secondaria. Questa è una descrizione degli effetti dell’esplosivo scritta durante la rivolta del ghetto di Varsavia nel 1943: “La bottiglia colpisce il carro armato, le fiamme si diffondono rapidamente, si ode il colpo dell’esplosione e la macchina rimane immobile. L’equipaggio viene bruciato vivo. Gli altri due carri armati si girano e si ritirano. I tedeschi che si nascondevano dietro di loro si ritirano nel panico. Li lasciamo con pochi colpi ben mirati e delle granate”.

Le bombe Molotov sono state una delle trovate micidiali dell’Armata Rossa e in città come Leningrado e Stalingrado fu messa a punto questa tecnica tanto mortale quanto economica. Poi sono diventate le armi d’elezione degli Anni di Piombo e, chiunque abbia un po’ di memoria, non può inneggiare a nessuna resistenza che usi questi mezzi e non può incitare nessun giovane, donna o cittadino ad alcuna rivolta che usi metodi banditi categoricamente dai nostri governi perché ritenuti “gravissimamente mortali”.

Il problema è che il nostro paese ha perso gran della memoria e, quando si rimpiange quel centro politico e strategico, è perché manca quell’asse che negli anni feroci del terrorismo fermò gli opposti estremismi. Quel grumo di irrazionalità e superbie cova e cerca sbocchi, e non si fa scrupolo d’imbarcare esodi, disgraziati, di sfruttare miserie, di piegare bisogni, di utilizzare risorse per la fame, le malattie, le divisioni. Che pacifismo è quello che stuzzica un conflitto inaudito, che risponde con altrettanto uso spericolato della violenza, dov’è il cristianesimo evangelico del deponi le armi e ama il nemico e la non violenza di Gandhi che predicavano anche tanti radicali? Le notizie dei nostri sostegni economici e militari, di armi convenzionali e non, sono assurde e inaccettabili sotto ogni profilo. “Molotov canne e guerriglia”, siamo questo? E per chi, per il paese delle maternità surrogate? Troppa disinformazione, troppo non voler sapere, esagerata consegna a concezioni fluide e altrettanto disumane fondate sugli odi e diaspore. Noi dobbiamo domare quell’Est, non farci inghiottire dai conflitti. Ed è innegabile che con potenze come Russia, Cina e ogni altro contesto l’arma oggi sia il dialogo, la negoziazione, il confronto, non solo come metodo pacifico, ma anche come strategia per i problemi che abbiamo di fronte. Energetici, di progresso, di innovazione, di salute, di sfide comuni per questioni globali. Per cui criminalizzare chi minaccia le atomiche per preparare le molotov è terrorismo. Diciamo No.

Aggiornato il 01 marzo 2022 alle ore 11:37