C’erano i ragazzi che amavano i Beatles, non l’ombelico

È diventato un dibattito che chiama in causa personalità, femministe storiche, addetti ai lavori, opinione pubblica. Lo abbiamo sollecitato anche dalle pagine de L’Opinione e dunque torniamo sull’argomento anche per cogliere, in queste ore drammatiche di venti di guerra, la serietà del tema dei giovani. L’oggetto del contendere non è solo un top e la pancia scoperta, le mode, il dress code, i comportamenti dei ragazzi a scuola e le reazioni delle istituzioni scolastiche divise tra rigore e permessivismo, ma l’indirizzo delle nuove generazioni nel tempo più critico. Loro, che dovranno difendere e rappresentare il futuro! La vicenda è nota. Una studentessa del liceo scientifico Righi di Roma, tempio dei movimenti giovanili, ha interrotto una lezione e si è messa a ballare sfoggiando un abbigliamento provocatorio così che l’insegnante l’ha apostrofata pesantemente.

Ovviamente la questione ha subito riguardato il tono e le parole della docente finita sul banco degli imputati, giustificata dalla preside in un coro di scuse ma assediata dalla protesta degli allievi, appoggiati da alcune famiglie, che l’indomani hanno scioperato con slogan e una sfilata di minigonne e top cortissimi. Il mondo barcolla, a pochi chilometri da casa, in Ucraina, ci sono stessi giovani e minorenni che imbracciano i fucili, nel mondo tanti bambini combattono per la fame e il diritto alla vita, mentre i nostri ragazzi e ragazze scioperano per l’ombelico? In un contesto di uomini e donne persi nei meandri dell’estetica, dei trucchi e parrucchi che confondono generi e identità con corpi gonfiati di manipolazioni, qual è il ruolo della gioventù nelle guerre, nei conflitti, nella storia? Non dico i tempi dei ragazzi che amavano i Beatles e i Rolling Stones, ma vogliamo affrontare il vuoto segnato dalla droga assai di più degli anni dell’Lsd, droghe che annullano come quelle del sesso, che mietono vittime senza neppure il disfacimento delle tossicità? Le questioni dirimenti sono certe liberalizzazioni contro la sacralità dell’individuo, la presunta aggressività di alcuni insegnanti o è il caso di prendere atto che basta un concorso per scoprire che il 60 per cento dei diplomati usa la grammatica a casaccio, che siamo all’anno zero del sapere e della coscienza? Su questo dobbiamo unire gli sforzi, dobbiamo ricostruire l’impegno nelle società opulente sopravanzate dai bisogni dei deboli ma divise dall’ideologismo, che si misura su fallite leadership e sugli eccessi del protagonismo.

Dobbiamo curarci d’immagine e sconfiggere la vanità. Avere successo deve coincidere col talento e la responsabilità morale, non coi graffi al decoro e col presenzialismo. È bastato che un supplente filologo, che da qualche mese insegna italiano, latino e greco al liceo classico Orazio, abbia pubblicato un post irriverente dal tono “oggi facciamo una preghiera, anche laica, per tutti quelli che mandano le figlie a scuola vestite come tr…” per ribaltare completamente la questione. Scriviamo libri dal titolo “Puttane” e poi abbiamo paura di una parolina sconveniente? Ci accorgiamo della confusione che hanno in testa i ragazzi? “Ci battiamo e continueremo a batterci per un ambiente scolastico equo ed inclusivo, nel quale nessuno debba vedersi giudicato”, è insorto il collettivo Orazio ottenendo che la dirigente dell’Istituto, Maria Grazia Lancellotti, promettesse provvedimenti. E il presidente dell’Associazione nazionale dei presidi di Roma, Mario Rusconi, ha dichiarato ufficialmente che il supplente “va condannato immediatamente, per il linguaggio e l’offesa”: “Una persona che dice queste cose ha sbagliato mestiere, non può fare l’insegnante”.

Però nessuno si è curato di quei docenti mortificati quando non aggrediti e pure picchiati a Milano, Roma, Torino da genitori inferociti per una nota di merito.
È scattata l’inchiesta su licenziamenti e iniziative penali col plauso del movimento del “se la sono cercata” che dagli anni di piombo ha stravolto fatti, processi, storia del femminile e maschile, famiglia, fede, politica, che ha delegittimato le inchieste di tanti, gli anatemi profetici a cominciare da quelli di Pier Paolo Pasolini quando denunciava l’omologazione culturale, la cancrena che ha invaso la nostra società liquida confondendo battaglie con derive, violenze con responsabilità e ha annullato la politica per condurre un gioco spietato, che non è molto lontano dagli ambienti della “in– giustizia” evocata dai libri di Alessandro Sallusti in cui Luca Palamara narra derive occulte. Non sono solo femminicidi, libertà dei generi, Cancel culture. Quando noi abbiamo servito baby girl, ragazze da Terrazze Paradiso, una miscellanea di corpi dalla prostituzione al sessismo facendo esplodere storie nere, sparizioni, abusi, una violenza per cui ogni sabato nelle discoteche è una mattanza, nelle strade è sangue, le notti sono accoltellamenti, privi di un contesto ideologico, morte per morte, noi abbiamo servito al sistema deviato il suo scenario.

Ci deve preoccupare moltissimo. Come ha fatto Dacia Maraini, scesa nel dibattito per puntualizzare che le mode non costruiscono idealità e che la scuola merita rispetto e rigore. Come ha fatto Lucetta Scaraffia, giornalista e scrittrice moderata, moglie di Ernesto Galli della Loggia, che alle prudenze lessicali ha preferito sottolineare i rischi dietro queste false guerre lessicali: “Chiediamoci perché la scuola italiana va sempre più alla deriva – ha scritto – . Si discute e si parla in quell’ottica dello smantellamento totale che a qualcuno fa comodo o nell’ottica di chi governa la scuola italiana senza un minimo di competenza in quello che ne è lo scopo primario: la formazione delle menti dei giovani, la loro formazione al rispetto per gli altri, la formazione a comprendere che nel prosieguo della loro vita vi saranno momenti bellissimi da vivere in pantaloncini corti, minigonne, in ciabatte da mare e momenti da affrontare in tailleur e scarpe décolleté o giacca e cravatta. Educare significa anche questo!”.
Confusione di ruoli, di generi non vuol dire libertà. Forse pubblicità, la stessa per cui Ambra Angiolini è scesa nel dibattito a gamba tesa dicendo che “è bullismo” il modo in cui alcuni insegnanti rimproverano gli alunni, mentre va in scena all’Ambra Jovinelli un testo tratto da Il nodo della statunitense Johanna Adams proprio su questo argomento. Troppo spesso fare scandalo coincide con fare ascolto, ma senza rendercene conto stiamo passando dalle prigionie delle pandemie ai tuoni della guerra in un’era in bilico sul senso della misura e responsabilità.

Aggiornato il 22 febbraio 2022 alle ore 12:26