“La creatura era ancora sostanzialmente un uomo. E proprio questo era il suo attributo più repellente”.
Quando si parla di “The Elephant Man”, l’uomo elefante, il pensiero corre subito al capolavoro cinematografico anni’80 di quel genio inquieto di David Lynch che ha segnato la consacrazione cinematografica di sir Anthony Hopkins e ribadito l’incredibile capacità espressiva dell’indimenticabile androide di “Alien”, John Hurt, recentemente comparso.
Quel retrogusto stantio della pellicola artistica in bianco e nero, insieme alle atmosfere vittoriane neogotiche di una Londra ormai perduta, fuligginosa, matrigna e cattiva, fanno da sfondo allo spettacolo degradante di una creatura deforme rannicchiata su una stuoia come un cane randagio, un mostro in mostra per il ludibrio o il raccapriccio dell’uomo della strada. In questo contesto immaginifico vale la pena leggere, o rileggere, il piccolo gioiello della narrativa di fine ottocento da cui deriva la storia, vera, “L’uomo Elefante” di Frederick Treves, edito da Adelphi nella collana Microgrammi e in uscita in questi giorni anche nella più economica versione digitale: una trentina di pagine scarse che sono un concentrato di delicatezza, tristezza e perfetta sintesi descrittiva della vita di un uomo sfortunato e, a modo suo, simbolo di un’epopea del coraggio di chi ha attraversato le fiamme e ne è uscito indenne.
A tratti poetico, sempre delicato e puntualmente descrittivo, questo libricino è anche una breve panoramica sull’infelicità e il desiderio di normalità e non può che suscitare nell’uomo contemporaneo, che si vergogna delle proprie minime imperfezioni fisiche, un riequilibrio valoriale, oltre che una riflessione su ciò che è veramente inaccettabile e ciò che è diventato una corsa a chi è più buono, più bravo e più perfetto nel non offendere nessuno. Questo mostro dall’intelligenza superiore, raffinato e sensibile, parente stretto del gobbo di Notre Dame, è il padre putativo della guerra a tutti i giudizi e pregiudizi sulla fisicità dell’era moderna, l’invito degli inviti a buttare il cuore oltre l’ostacolo e non giudicare dalle apparenze, o almeno a guardarvi meglio. Naturale evoluzione dell’attenzione per il “diverso” è stato far diventare il “body shaming”, cioè il deridere qualcuno per il suo aspetto, un reato perseguibile penalmente, ma è un passo di civiltà o un’involuzione delle coscienze?
Sembra che ormai sia diventato doveroso per la collettività prendersi sulle spalle anche i complessi delle persone azzerando il diritto a qualsiasi critica feroce perché poi i ragazzini – e i meno ragazzini – si suicidano per un “palla di lardo” o un “culo di gomma”, “balena”, “rospo”, “cellulitica”, “tette mosce”, “Dumbo”, “fai schifo, sparati”. Bene, a forza di commenti pesanti che arrivano a migliaia sui social, ne abbiamo preso atto ma, invece di un bravo genitore, o di un bravo insegnante o di un bravo psicanalista, è davvero meglio una sanzione penale e magari far finire in galera qualche guappo che voleva solo sfogarsi delle sue miserie e offenderti un po’?
Un tempo i bulli che ti rubavano la merendina li buttavi per terra a ricreazione e gliele davi di santa ragione, si imparava presto a farsi rispettare, oggi stiamo crescendo generazioni di mammolette piagnone insicure persino della propria ombra. È non è con la paura di una sanzione che ci edulcoreranno la personalità, anche se pagheremo il perbenismo democratico di qualche magistrato ligio ai nuovi parametri del corretto. Cosa avrebbe dovuto fare allora il povero uomo elefante? I tempi cambiano, ma l’umanità è ancora cattiva, solo che adesso ci insegnano come essere buoni per legge, non dobbiamo urtare la suscettibilità di nessuno ma tagliarci la lingua e mozzarci il pensiero, vietati i commenti negativi sul corpo difettoso, o difettato, o non aderente al criterio della moda dominante.
Ogni scherno, da scherno, boutade, provocazione, dispetto, o mera osservazione della realtà – perlomeno negli occhi di guarda, direbbe David Hume – è diventato insulto perseguibile a querela: alla scrittrice cesso non puoi dire che è un cesso, non si possono alzare i toni, bisogna stare tutti a cuccia e buonini, non si può dire che il campione era un imbecille, dare del nano a un nano, del pelato a un pelato o del vampiro a uno che sembra appena uscito dalla cripta e men che mai della culona a una culona. In sintesi, non si può più dire niente perché anche se siamo tutti dei mostri e anche se siamo tutti noi i nuovi mostri, adesso c’è il body shaming. La lettura quindi è consigliata.
Aggiornato il 11 gennaio 2022 alle ore 13:01