Infatti ti infetti

Immaginate di trovarvi nel deserto, con un sofisticatissimo fuoristrada di ultima generazione. E che anche i sofisticati si guastino. Immaginate che a quarantotto gradi all’ombra (che non c’è) vi appaia all’orizzonte il meccanico Aci chiamato con il satellitare. L’angelo del cacciavite apre il cofano, accende il motore che si rispegne, poi guarda, valuta, infine emette una diagnosi. E voi lo contestate, come si permette, il fuoristrada è pure griffato. “Prego, risolva lei”, è l’unica risposta che vi può dare. E così voi lo inseguite saltellando, mentre ripiega verso il suo furgone. Perché la macchina è importante, mica come il Covid, una sciocchezza che ognuno inquadra come vuole, e senza mai cambiare idea rispetto alla folgorazione iniziale. Il Covid è un’opinione, non un virus. Soprattutto se è sostenuta dalla parte politica (o sportiva) che detestiamo. Dunque, se quella fazione ci consiglia il vaccino, rifiutiamolo, così impara. Sicuramente questa pandemia ha abbattuto i rimanenti, minuscoli bastioni della nostra formazione di base. E il tifo, punto di riferimento della passione cieca, è il paziente zero di questa contaminazione che non risparmia più nulla, nemmeno la scienza. Che, anzi, è coinvolta, ma nel modo peggiore, con gli studiosi stessi trasformati in strilloni. E non di giornali.

Siamo tutti autodidatti, impariamo dall’etere più etereo, e persino alla rete concediamo sempre meno pazienza. E non cambiamo idea, perché respingiamo chiunque la pensi diversamente. Covid a parte, in generale, chi volesse avere la certezza di un fallimento annunciato potrebbe tentare di fondare un movimento, un partito, basato su equilibrio e apertura. Ma la politica stessa ormai è superata, ognuno è l’arbiter universale e non perdona chi osasse rivendicare qualsiasi competenza. Perché ormai siamo tutti troppo evoluti per credere a un signore col camice solo perché tiene in mano una provetta. E questo ci può stare. Ma la contraddizione risiede nel fatto che lo studioso che oggi trattiamo come un analfabeta è lo stesso dal quale ci aspettavamo miracoli. Che, però, non esistono. Lui, il microscoparo, avrebbe dovuto inquadrare il virus nel mirino, e poi, puntare, fuoco. Invece il vermiciattolo continua a cambiare faccia, colore, corpicino schifosetto, e lui, non sapendo più che cosa dire, continua comunque a sparare, ma sentenze frettolose che si ritorcono contro tutta la sua categoria, a cui non concediamo più nemmeno le prime file dei nostri teatrini, prenotate in permanenza dagli eroi della sparata grossa. I quali ancora ripetono la litania degli interessi global-farmaceutici pensando di essere scoopisti planetari.

Succede pure che un personaggio famoso, amato e controverso, faccia qualcosa che in un mondo pre-virale apparirebbe scandaloso. Il gregge gli bela contro, e quando le reti social sono sature di insulti copia-incolla, dalle retrovie spunta l’eroe che dice bravo, esalta le supposte ragioni del divo, sentendosi così geniale, coraggioso, controcorrente come i veri innovatori della storia. Poi, magari, si aspetta pure una telefonata di plauso, perché no, dall’Australia, perché no, della massima racchetta mondiale. E se i poteri forti avessero bloccato il suo smartphone? Beh, lui ringrazierà all’antica: in fondo è un No vax, mica un No fax! In tutta questa sceneggiata tragicomica globale si è perso ogni vago senso della misura, e si tratta la scienza con le logiche stringenti del bar: un tempo ci volevano tanti decenni per creare un vaccino, se viene fuori in pochi mesi non può funzionare. E, come avete visto non funziona, ci si infetta ancora. Sì, dicono che i vaccinati muoiono meno, ma i dati arrivano manipolati dalle multinazionali. Sembra pazzesco, ma sono in pochi a mirare dritto alla soluzione, i più hanno scambiato la battaglia sul virus con quella sul metodo: se si segue il nostro va tutto bene, anche se non funziona.

Djoko, partita, incontro.

 

Aggiornato il 10 gennaio 2022 alle ore 11:40