La Rai può rischiare il contratto di servizio

La Rai cammina a zig zag. Ha chiuso l’anno con due dati contrastanti: un ascolto complessivo tra i più alti degli ultimi dieci anni e uno sciopero audio video dei giornalisti che non si registrava da molto tempo. A Viale Mazzini hanno fatto festa per i 10 milioni di telespettatori collegati da Terni per la trasmissione di fine anno e soprattutto per il positivo consuntivo 2021 che ha fatto registrare una crescita generale dell’0,8 per cento sull’intera giornata televisiva e dell’1,4 per cento sulla prima serata. La Rai, più degli altri gruppi, ha raccolto il vento favorevole della pandemia che ha impedito o ridotto altre iniziative di svago e di spettacolo. Il lockdown causato dalla paura del contagio da Coronavirus ha spinto milioni di italiani a rimanere a casa durante la sera. Inevitabile quindi la sintonizzazione sui programmi televisivi.

La parte del leone l’ha fatta Rai uno con le sue fiction, i documentari, i vari approfondimenti sull’attualità politica (per comprendere cosa pensavano e facevano il presidente Mattarella e il premier Draghi, con orientamenti e provvedimenti che anticipavano le decisioni di Bruxelles) e sulla crisi economica.

Se la Rai nel suo complesso ha retto la scena in quantità spesso è venuta meno in qualità. La miriade di virologi e immunologici schierata in tante trasmissioni ha creato più confusione che dato certezze. Il bilancio di gruppo del primo semestre (con i nuovi vertici di Viale Mazzini composti dalla presidente Marinella Soldi e dall’amministratore delegato Carlo Fuortes) è stato chiuso con un utile di 9,7 milioni di euro, in leggero miglioramento rispetto all’anno precedente ma la posizione finanziaria netta è risultata negativa per 317, 3 milioni contro i 2.745,9 milioni del 2020.

Il sostanziale pareggio di fine anno evidenzia che la Rai ha galleggiato nonostante l’apporto delle vittorie della nazionale di calcio di Roberto Mancini agli Europei, che hanno portato un incremento della raccolta pubblicitaria. Il discorso dolente è quello delle misure di contenimento dei costi che stanno coinvolgendo l’informazione giornalistica e in particolare due settori delicati di frontiera come i telegiornali regionali e lo sport. A fine anno si è registrata la frattura tra il sindacato interno dei giornalisti e i piani alti di Viale Mazzini per due decisioni unilaterali e prese, secondo Daniele Macheda nuovo segretario dell’Usigrai, nella “logica dei tagli lineari”.

Lo sciopero audio-video del 29 dicembre rientrava nell’ambito di una protesta di più ampio respiro e che riguardava i rapporti tra sindacato e nuovi verti aziendali. I tagli decisi senza alcuna consultazione sono giudicati un grave errore perché presi senza l’esistenza di un piano di un piano industriale, senza un progetto. Anzi i tagli sono stati operati senza tener conto che nel corso del 2022 la Rai dovrà rinnovare “il contratto di servizio” con lo Stato. La giustificazione del basso ascolto per la cancellazione delle edizioni notturne dei telegiornali regionali e di Rai sport non trova valide argomentazioni a fronte della necessità di operare risparmi in altri settori di programmazione pomeridiana, dispendiosa per essere realizzata in prevalenza con appalti esterni e poco in linea con il servizio pubblico. Ci sono poi contratti di artisti strapagati, senza essere utilizzati appieno. Il metodo, secondo l’Usigrai che chiede un confronto serrata, deve essere quello di aggredire gli sprechi invece di ridurre i servizi ai cittadini che pagano il canone. La Rai deve cambiare passo. Alla tivù pubblica in materia di sport è rimasto poco o niente.

Aggiornato il 04 gennaio 2022 alle ore 13:53