Ha suscitato clamore e sconcerto il recentissimo caso dell’86enne pensionato romano Enrico Di Lalla, che, di ritorno alla propria abitazione dopo un paio di giorni di ricovero in ospedale, l’ha trovata abusivamente occupata ed è riuscito a recuperarla dopo ben 24 giorni grazie al provvedimento di sequestro conservativo, ottenuto con l’intervento di un avvocato. Secondo quanto riferito dai mass media e confermato dallo stesso avvocato, questo iter procedurale e la conseguente lunga attesa, hanno tratto origine dal rifiuto della polizia giudiziaria di procedere all’espulsione degli occupanti abusivi in mancanza della flagranza di reato. L’episodio ha suscitato l’interesse di un’opinione pubblica sempre più socialmente insicura e un diluvio di assurdità nel mondo di internet, dove si è dato per scontato che tutto si sia svolto a norma di legge e non vi fosse nulla di meglio da fare. A parte le doglianze di rito sul “sistema”, qualche critica solo per il giudice, che avrebbe atteso diciotto giorni dalla presentazione del ricorso per concedere il sequestro. Sul principale quotidiano italiano, un noto commentatore nella sua rubrica ha auspicato una legge che risolva il problema, ritenendo che vi sia una lacuna normativa.
Pazienza per gli sprovveduti commentatori, ma evidentemente a Roma e altrove vi sono molti che, per esigenze professionali, dovrebbero procedere a un sollecito ripasso dei codici e della giurisprudenza. Basterebbe un qualunque manualetto di diritto penale per apprendere che l’occupazione di immobili ha “natura di reato permanente in quanto lo stato antigiuridico duraturo, realizzatosi in seguito alla sua consumazione, viene mantenuto attraverso una ininterrotta condotta dell’agente, il quale può farlo cessare in qualunque momento con un atto di sua volontà”. Ne consegue che fin che dura l’occupazione vi è flagranza di reato.
Pur se si deve dare atto dell’esistenza di una corrente giurisprudenziale largamente minoritaria a favore della natura istantanea con effetti permanenti del delitto di occupazione (in tal senso Corte di Cassazione, Seconda sezione, sentenza n. 7911 del 20/01/2017), la giurisprudenza di gran lunga prevalente e, soprattutto, più recente è nel senso della permanenza del reato. Così la Corte di Cassazione con le sentenze n. 29657/2019 e n. 20132/2018, dove si legge “Secondo un orientamento consolidato e risalente: il delitto p. e p. ex articolo 633 del Codice penale, ove non si esaurisca nella pura e semplice momentanea invasione, ma avvenga con un’occupazione protratta nel tempo – come nel caso in esame – è permanente, come da lungo tempo stabilito da larga giurisprudenza (Corte di Cassazione, Seconda sezione, sentenza n. 49169 del 27.11.2003; Corte di Cassazione, Terza sezione, sentenza n. 2026 del 26.11.2003, depositata il 22.1.2004; Corte di Cassazione, Seconda sezione, sentenza n. 8799 del 17.1.99; Corte di Cassazione, Seconda sezione, sentenza n. 3708 del 12.1.90; Corte di Cassazione, Seconda sezione, sentenza n. 7427 del 23.11.87, depositata il 30.6.88; Corte di Cassazione, Seconda sezione, sentenza n. 10363 del 30.6.87; Corte di Cassazione, Terza sezione, sentenza n. 670 del 24.11.82, depositata il 26.1.83; Corte di Cassazione, Seconda sezione, sentenza n. 1178 del 7.10.80, depositata il 18.2.81; Corte di Cassazione, Seconda sezione, sentenza n. 1625 del 17.11.72, depositata il 23.2.73)” quindi “la permanenza cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto”.
Ne consegue il potere-dovere di immediato intervento, appena preso atto del protrarsi dell’occupazione, della polizia giudiziaria, alla quale tale obbligo è imposto anche dall’articolo 55 del Codice di procedura penale, che le assegna il compito di impedire, anche di propria iniziativa, che i reati vengano portati ad ulteriore conseguenze. Con l’osservazione aggiuntiva che questi obblighi di intervento vanno tenuti ben distinti dall’arresto in flagranza, possibile solo nei casi previsti dalla legge. Si aggiunga che il reato di cui all’articolo 633 del Codice penale non appare il solo ipotizzabile nel caso in esame; il pensionato ha riferito di non aver trovato, all’atto del sopralluogo, molti oggetti custoditi nell’appartamento – e questo nel codice penale si chiama furto – e di aver trovato la casa devastata: quindi vi sarebbe stato anche il danneggiamento.
Qualcuno, più acculturato, a giustificazione del mancato intervento della polizia giudiziaria, ha rispolverato la tesi giurisprudenziale (in particolare di merito) per la quale non sarebbe punibile, ai sensi dell’articolo 54 del Codice penale, chi occupa l’immobile in conseguenza di un proprio stato di bisogno economico-abitativo. Tuttavia la Cassazione, occupandosi del caso, indubbiamente pietoso, di una ragazza-madre non in grado di procurarsi altrimenti un’abitazione, ha ribadito che “l’illecita occupazione di un immobile è scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare – nelle ipotesi di difficoltà economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo – una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell’occupante e della sua famiglia” (Sentenza della Corte di Cassazione n. 26225 del 18 settembre 2020).
In ogni caso, la possibile presenza di scriminanti non incide sull’obbligo di immediato intervento della polizia giudiziaria, perché la valutazione delle eventuali esimenti ai fini della punibilità del fatto spetterà poi, in un secondo momento, al giudice. Se proprio (ma si è fuori dal campo dello stretto diritto, per entrare in una discutibile questione di opportunità) si vuole lasciare alla polizia giudiziaria una certa discrezionalità sull’opportunità o non dell’immediato intervento, è indispensabile limitarlo ai casi nei quali, come a volte avviene in particolare per gli appartamenti degli Istituti case popolari, l’appartamento è vuoto non momentaneamente o occasionalmente, ma perché non ancora o non più abitato.
Infine i commentatori di internet (in realtà anche di almeno un telegiornale) hanno dato per scontato che rimarranno a carico del pensionato le spese per la riparazione ai danni provocati dall’occupante al suo proprio appartamento, a causa dell’impossibilità di fatto di ottenere il risarcimento dai nullatenenti occupanti, che, oltre ad avere sottratto alcuni oggetti, lo hanno lasciato in condizioni disastrose. Non è necessariamente così. È già accaduto che lo Stato e il ministero dell’Interno siano stati condannati a risarcire il proprietario del danno patito per il mancato tempestivo sgombero di un immobile occupato abusivamente (Tribunale di Roma sentenza n.13719/2018).
(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino
Aggiornato il 11 novembre 2021 alle ore 12:23