Esiste un codice di galanteria non scritto in virtù del quale un uomo non dovrebbe mai chiedere a una signora delle sue precedenti relazioni sentimentali, con quanti e quali uomini si è intrattenuta e quando. Codice che teoricamente dovrebbe valere anche al contrario, non solo per una questione di questa tanto pompata parità – irrealistica – tra i sessi, quanto per meri motivi di eleganza personale.
Eppure, sebbene non viviamo più nel secolo scorso, quando ancora era un tabù parlare dell’amante o dell’amica, o dell’amico, questo lato delle vicende personali di chiunque – perché a chiunque può capitare di vivere un’esperienza sentimentale con una persona che non sia il marito o la moglie o il compagno o la compagna ufficiali – il “torbido”, il gusto del proibito, tirano fuori il peggio del voyeurismo che è in noi o, di riflesso, il gusto per il pettegolezzo, per la riprovazione sociale del gesto, la condanna della libidine peccaminosa. In tutti noi, salvo eccezioni, quali la sottoscritta, inguaribile “sturmundrangetista” che prima di rivelare un segreto, per di più d’amore, si taglierebbe tutte e due le mani.
Questo breve cappello introduttivo è solamente per prendere l’argomento “libro di Ilda Boccassini” alla larga e con le pinze. Ci è piaciuto, in generale? No. Ci è piaciuta la parte in cui racconta del fremito adolescenziale nei confronti di Giovanni Falcone, seppur a distanza di trent’anni? Ancora meno. Viene da chiedersi se uno lo legga il proprio manoscritto rimaneggiato dagli editor di una casa editrice o se non ci sia stato tout court alcun rimaneggiamento. Perché chiunque avrebbe consigliato di non utilizzare certi toni e avverbi e avrebbe evitato una confezione generale del passaggio intimo esageratamente da feuilleton specie trattandosi di Giovanni Falcone e non di un attore hollywoodiano. Insomma: l’intermezzo da romanzetto rosa, il giudice, o la giudice che dir si voglia, ce lo poteva risparmiare o doveva scriverlo meglio. Perché la cosa grave che salta subito alla mente è che una persona che abbia il grandissimo, immenso, sconfinato potere di decidere della vita degli altri, se sbatterle in galera o meno, se rovinarle per sempre o essere clemente e in che misura, alla fine si presenti al mondo come una donnetta qualsiasi, una che si fa rapire dal momento, dalla canzoncina di Gianna Nannini alla radio, che urla e strepita, forse a favore di qualche scena già scritta di soggetto cinematografico imminente in stile Romanzo Ciminale, chissà.
Non c’è nulla di male nel “sono una donna, non sono una santa”, ci mancherebbe, la natura umana è fragile e il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato è personale e labile, ma qui discutiamo dell’opportunità e a volte, per ragioni di opportunità, o si smorzano i toni o si tace. Altrimenti si è portati a pensare alle frustrazioni, all’infelicità repressa, a qualche disturbo della sfera emotiva della “rossa di ferro” che ha tenuto per le gonadi mezza Italia: immaginarla come una scolaretta sedotta dal fascino del galantuomo siciliano, dell’eroe dell’antimafia, ce la fa inevitabilmente scadere e fa scadere anche il resto della sua biografia. E se invece per La Repubblica va bene, siamo contenti che a noi proprio non vada giù invece, non è sempre tutto lecito.
Non dico di arrivare all’eccesso di ritirare il libro, anche se io lo farei, per pudore. Quel pudore che è mancato. E per cosa poi? Per una copia in più? Poteva scrivere un romanzo, almeno contrabbandare. La verità nuda e cruda dei fatti processuali a volte diventa un’ossessione difficilmente applicabile alla vita. Ci ha “deliziati” perché se ne parlasse? Perché si ricordasse… cosa? Ha ben fatto la sorella di Giovanni Falcone a risentirsene, se è pur vero, come direbbe Goethe, che i legami creati dal destino sono indistruttibili, non è solamente un problema di privacy, è che a volte il buongusto, ma soprattutto l’onore e il rispetto, per chi c’era allora, per chi non c’è più, per i suoi affetti, per chi rimane, impongono di non rivelarli. A nessuno. Mai.
Aggiornato il 13 ottobre 2021 alle ore 10:21