Socrate delinque; strafà con le ricerche sul mondo sottoterra e in cielo; fa vincente l’argomento perdente; dà lezioni in giro sopra tutto questo; ecco più o meno l’accusa”: così Meleto, l’accusatore principale di Socrate, esponeva le colpe di quest’ultimo nel suo processo dinnanzi a tutta la polis riunita, come si legge nell’Apologia di Socrate di Platone. Analogamente alla vicenda di quell’orribile errore giudiziario che fu il caso di Socrate, il padre della filosofia e del pensiero razionale occidentale, ben 25 secoli dopo gli stessi problemi si ripresentano integri.

Silvia, studentessa di filosofia dell’Università di Bologna – astrattamente una delle più antiche e prestigiose sedi di studio e di sviluppo del pensiero dell’intero Occidente – è stata oggetto di insulti e minacce da parte dei colleghi poiché la lezione del corso di Filosofia, peraltro sul tema dei diritti degli altri, è stata sospesa dalla docente in quanto la ventenne era sprovvista di Green pass. All’uscita dal plesso universitario la giovane è stata bersaglio di sputi, contumelie, aggressioni verbali e ogni altro genere di aggressione morale da parte dei colleghi. La colpa di Silvia, agli occhi dei suoi detrattori, è quella di essersi opposta al Green pass, di essersi rifiutata di aderire alla presunzione di patologicità che vige oggi nel reame del Green pass, di aver osato esercitare il proprio diritto allo studio – costituzionalmente garantito – senza l’inedita compressione che di esso fa un mero certificato, di aver rivendicato la libertà di scienza e coscienza osando dubitare del Green pass e rivendicando quella libertà originaria e naturale, cioè non concessa dallo Stato, che le pertiene secondo quanto dovrebbe essere normale in un ordinamento di uno Stato di diritto.

Tralasciando la triste circostanza per cui tutta la vicenda si è consumata all’interno di una facoltà di Filosofia, cioè in quel luogo che dovrebbe essere il tempio più sacro del pensiero critico poiché, come ha insegnato tra i tanti Emmanuel Lévinas, “la critica o la filosofia è l’essenza del sapere”, lasciando intuire il livello modesto dell’insegnamento universitario italiano e la ancor più bassa qualità delle nuove generazioni di filosofi (come del resto anche di giuristi o medici) che negli atenei italiani viene addestrata al conformismo, cioè al non-pensiero, occorre sul punto effettuare qualche breve considerazione.

In primo luogo: Silvia meriterebbe una laurea ad honorem in Filosofia e in Giurisprudenza poiché ha dimostrato capacità critica, metodo scientifico e coraggio civico opponendosi con metodi pacifici e razionali – come Socrate e Cristo – al potere assoluto posto contro l’uomo, cioè a uno strumento quale è il Green pass che costituisce uno stupro della dimensione giuridica fondativa dello Stato di diritto. Sicuramente pochi saranno i docenti del suo corso e di tutti gli altri atenei italiani a condividere questo giudizio positivo su Silvia, poiché è meglio non prendere posizione, è meglio allinearsi al mainstreaming pandemisticamente corretto, è meglio per ogni docente universitario restare nell’ombra dell’autorità piuttosto che assumersi l’onere di esporsi alla luce della verità.

In secondo luogo: sarebbe bello sapere esattamente cosa viene insegnato e cosa viene appreso in un corso sul tema dei diritti degli altri se accade tutto questo nei confronti di una studentessa, la quale rivendica il proprio diritto allo studio che essendo direttamente garantito dalla Costituzione in quanto tale è gerarchicamente sovraordinato a un mero certificato. Ammettendo per assurdo che Silvia abbia torto sul Green pass e sui suoi diritti costituzionali, non risulta da nessun sistema di pensiero (giuridico-filosofico) vigente che le lezioni debbano essere interrotte e che quanti sono sprovvisti di Green pass possano e debbano essere minacciati o verbalmente aggrediti. I compagni di corso di Silvia rei di minacce non dovrebbero essere semplicemente puniti, ma interdetti dallo studio della filosofia perché hanno dimostrato palesemente di essere mentalmente e spiritualmente inidonei alla comprensione dell’umano e della verità che la filosofia promuove e ricerca.

In terzo luogo: brutto segno anche il comportamento “pilatesco” della classe docente che non è intervenuta in difesa della giovane studentessa, rivelandosi la soggezione dei docenti universitari più al quieto vivere che all’impegno umano e intellettuale nei confronti della verità. Vengono alla mente le riflessioni di Hugo von Hofmannsthal per il quale “la filosofia è il giudice di un’epoca; brutto segno quando ne è invece l’espressione”. La giovane Silvia, insomma, pur senza laurea (come Socrate, Platone e Aristotele) ha incarnato i panni dell’autentico filosofo, che ignorando le risultanze della massa, della maggioranza, dell’autorità tirannica, si è battuto per la civiltà del diritto impensabile senza lo spirito di verità che essa presuppone, verità che deve sempre essere riscoperta, pur tenendo presente il paradosso per cui sebbene la verità sia per tutti, non tutti sono per la verità.

In conclusione, riecheggiano le parole di Demostene, che in una delle sue orazioni, per un caso analogo a quello di Silvia, così ebbe ad affermare in merito agli accusatori di un innocente: “Si comportano come se non appartenessero ad uno Stato comune a tutti e dove tutti hanno il diritto di parlare: reputano questa una loro prerogativa, come un sacerdozio ereditario. Se uno parla, al vostro cospetto, per una causa giusta, se la prendono a male e lo bollano come tracotante. E sono a tal punto prigionieri di questa loro visione delle cose, da credere di meritare a vita la reputazione di cittadini “perbene” se chiamano svergognato quel tale che si è alzato a parlare una volta tanto davanti all’Assemblea”.

Aggiornato il 13 ottobre 2021 alle ore 09:50