Dal falsificazionismo popperiano, all’atteggiamento ermeneutico, sta crollando il paradigma costruito, con pazienza, dall’epistemologia contemporanea seppellito, stavolta, da una reazione piuttosto che dalle rivoluzioni (necessarie) di cui parla Thomas S. Kuhn nel suo fondamentale La Struttura delle rivoluzioni scientifiche. Sappiamo da Heisenberg (principio di indeterminazione enunciato nel 1927) che l’osservatore modifica l’oggetto osservato. Da allora la scienza fa proprio un concetto sdoganato dalla filosofia, inaugurando un’età dell’interpretazione che la pone in stretto dialogo con l’ermeneutica filosofica, con lo storicismo hegeliano e crociano. Eppure il concetto di scienza che si profila all’orizzonte del terzo millennio, sdoganato dai virologi da salotto televisivo, accantona il falsificazionismo popperiano e auspica il dogma dell’infallibilità, come nelle istituzioni religiose. Non tutto ciò che viene dopo è progresso, scriveva Alessandro Manzoni. E così per cancellare le tesi di quegli autorevoli scienziati (ivi compresi Nobel per la medicina) che continuano a sostenere che sia un errore una vaccinazione di massa in piena pandemia, si fa ricorso all’esempio dell’eradicazione della polio. Esempio calzante, scientificamente sostenibile? Si possono accostare virus con statuti così differenti? E i rimedi? Ma il siero contro la polio, sperimentato per decenni, non era altamente immunizzante, al contrario degli antidoti al Covid?
Chiedete a Giulio Tarro, primario emerito del Cutugno di Napoli, allievo di Sabin, lo scopritore del vaccino contro la polio che mai cedette alle lusinghe delle Big Pharma, rifiutando di brevettare la sua scoperta. Fu il regalo di un grande uomo e un grande medico al mondo, ai bambini che tanto avevano sofferto. Perché, forse, la più grande remunerazione per un medico dovrebbe essere la conquista della salute dei propri pazienti. Giulio Tarro è stato linciato a mezzo stampa, delegittimato per aver sostenuto tesi in contrasto con la narrazione dominante (e col senno di poi aveva ragione). Ma, forse, Tarro è troppo vecchio, troppo brutto (e troppo libero) per sfoggiare, a contratto, abiti e cravatte nei salotti televisivi. Mentre sui giornali imperversano i medici che si scagliano, con violenza, contro gli untori non vaccinati, rifiutandone le cure. Tradendo la missione della loro professione, il giuramento di Ippocrate. È la tessera verde, oggi, a scandire, a mo’ di epitome, il tempo in cui viviamo. Ma è la tessera soggetta alla legge o la legge soggetta alla tessera? Si corre il rischio che la tessera verde divenga da iponimo soggetto a giudizio, iperonimo giudicante. Al di sopra della legge e del diritto.
E, così, dopo il meme lanciato dal virologo star (niente cure per i renitenti alla tessera), ribattuto dall’influencer progressista di turno, si scatena il popolo dei social, in un parossismo orgiastico da caccia alle streghe, degno del secolo raccontato da Manzoni ne “I Promessi sposi”. A quel punto si gioca a chi la spara più grossa, in una deriva inedita e inusitata. E se togliessimo tutela legale agli assassini, mafiosi pluriomicidi? Assistenza sanitaria ai tabagisti, tossico dipendenti, alcolizzati? Coraggio, giochiamo a chi la spara più grossa?
Ormai lo stato di diritto è stato sostituito dallo stato di eccezione, come sostengono da tempo Giorgio Agamben e Massimo Cacciari, e a ratificarlo non serve più la corte costituzionale, basta un tweet del virologo star di turno. Piaccia o meno, però, Agamben e Cacciari rappresentano l’élite della cultura italiana nel mondo, la punta di diamante. Ed è per questo che sentire l’uomo della strada, o il professore di turno, chiosare il loro intervento (pubblicato, peraltro, dall’Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli, prestigiosa roccaforte del pensiero liberale crociano) come uno scivolone, suonerebbe strano. E non esiste commento che non sia apodittico, sentenzioso senza entrare nel merito delle questioni poste. Volgare a prescindere. E così, non mancano prestigiose firme del giornalismo italiano che si difendono dagli attacchi al sistema dando, preventivamente, del cretino ad Agamben. Ma non c’è niente di strano in questo teatrino che mette soltanto in scena, forse, lo spaccato della nostra società dilaniata dalla demagogia e dal populismo qualunquista. Anni di propaganda grillina non sono trascorsi invano e, pertanto, continuiamo a muoverci nel solco dell’uno vale uno.
Ma, forse, uno non vale uno. Agamben e Cacciari non valgono quanto Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio. Quanto l’uomo della strada e il tuttologo o lo specialista da social, il virologo da salotto televisivo e l’ex sindacalista della Fiom. Sono in tanti a criticare aspramente le posizioni dei due filosofi, tra questi la politologa Sara Ventura, il cui intervento sembra poco convincente perché giunge dopo oltre un anno e mezzo di stato prolungato di eccezione. Forse la sua critica avrebbe avuto maggior forza in relazione al primo intervento di Agamben, che poteva apparire sproporzionato. Ma oggi, a distanza di tempo forse, nonostante qualche radicalizzazione ed enfatizzazione eccessiva, non sarebbe il caso di riabilitare il pensiero del filosofo sullo stato di eccezione? E, poi, soffermarsi soltanto sull’analogia tra Green pass e Shoah (peraltro non posta dal filosofo) potrebbe apparire argomentazione pelosa, un po’ come soffermarsi sul dito mentre i più saggi (parliamo di due canizie, se includiamo anche Cacciari, della filosofia) indicano la luna, ovvero la soppressione di libertà fondamentali e lo stato di diritto a rischio. La Ventura colloca Agamben nell’alveo dei pensatori “utopici”. E fin qui siamo d’accordo. Non è certo ascrivibile all’ingegneria popperianamente riformistica la posizione del filosofo (e forse neppure quella di Cacciari). E questo rende ridicoli alcuni interventi (come quello di Cremaschi) che definiscono Agamben un reazionario liberista e liberale.
Non siamo invece d’accordo quando la politologa, in altre circostanze osservatrice attenta ed equilibrata della vita politica italiana, colloca Agamben nel calderone dei complottisti, facendolo diventare quasi un grillino qualunque, all’insegna di un ragionamento, forse, riduttivo e polarizzante. Se, dunque, Ventura ha ragione nel definire radicale e utopica la posizione di Agamben, forse è sbagliata la premessa del suo ragionamento. Premessa che non considera radicale allo stesso modo, pericolosa per lo stato di salute delle istituzioni repubblicane, la situazione di ormai perenne emergenza che viviamo. Situazione per cui il ragionamento di Agamben suonerebbe, paradossalmente, come una spinta moderata, riformista e gradualista, a fronte dei mutamenti radicali di paradigma che descrive (ovvero il brusco passaggio verso una società del controllo, basata sul “sorvegliare e punire”, che non ha precedenti nella storia delle democrazie).
Perché questi mutamenti, sebbene nascosti dallo stato di emergenza pandemica, esistono davvero e non sono materia per complottisti. Senza contare che anche i complotti esistono e la storia ne è piena. Occorrerebbe rileggere un bellissimo saggio di Umberto Eco dal titolo La forza del falso, che ne riassume con chiarezza l’esegesi storica e letteraria. Altra cosa è la paranoia del complotto. Il credere, ovvero, che i complotti riescano sempre, deterministicamente, fornendo una chiave unica di spiegazione del reale. La più semplice da ammannire alle masse. Nel 2019, soltanto due anni fa, a firmare un patto trasversale per la scienza, accanto al virologo star Roberto Burioni, sedeva Beppe Grillo. Ovvero il capo di un partito che ha allargato il suo consenso proprio grazie alla rete No vax. Vendendo complotti attraverso un blog.
Aggiornato il 05 ottobre 2021 alle ore 10:51