La crisi dei giornali tra virus e pensionandi

La pandemia ha messo a nudo l’organizzazione dei quotidiani. La questione dei 50 prepensionamenti ha fatto esplodere a Repubblica le relazioni sindacali, mai così tese dai tempi di Barbapapà ed Ezio Mauro che hanno avuto un ruolo rilevante anche nelle vicende della Federazione nazionale della stampa. Le sfide che il giornalismo italiano e internazionale si sono trovati ad affrontare in questo ultimo anno e mezzo, dominato dall’esplosione del Coronavirus, hanno rappresentato una specie di spartiacque.

In alcuni momenti, soprattutto nelle tante trasmissioni televisive, i professionisti della comunicazione non sono sembrati i giornalisti ma i virologi. Pagine e pagine, con interviste e presenze alla radio e tv, hanno creato uno stato confusionario e incertezze su quella che era la realtà e sulla massa di dati non sempre riscontrabili oggettivamente. Sul processo informativo solo da poco è iniziata una riflessione. In materia di pandemia certamente la scienza e il mondo medico debbono avere un rilievo importante, ma spesso è stato necessario correggere le notizie.

Il virus scoppiato nel febbraio 2020 nella città cinese di Wuhan ha monopolizzato l’attenzione mondiale, ha bloccato attività essenziali, ha messo in crisi l’economia. Molti, anche giornalisti, si sono lanciati in previsioni che poi non si sono realizzate. Si è verificato così che la pandemia è arrivata addosso all’informazione. Mese dopo mese il mestiere di informare è cambiato e c’è stato un diverso rapporto di interlocuzione con le fonti, medici, Istituto di sanità, virologi.

Di parole errate se ne sono scritte molte, tanto che ancora a ridosso della ripresa dell’anno scolastico le incertezze non mancano. È stato così scoperto un nuovo modo di fare informazione: la maggioranza dei cronisti si sono adattai allo “smart working”, perdendo quel contatto diretto con la realtà che era l’essenziale dell’articolo di cronaca. Si è cercato anche interlocutori nuovi e all’interno delle redazioni sono entrati profili professionali in grado di analizzare e comprendere i dati che venivano forniti sui morti per Covid, sui vaccinati e non vaccinati. Sono stati creati hub salute al fine di intercettare i lettori digitali che chiedevano maggiori e più approfondite informazioni sulla salute.

Il mestiere di giornalista si trova, dopo quasi due anni di pandemia, a dover cambiare passo. Niente sarà più come prima perché le risposte da fornire sono ancora tante. Questa revisione si innesta sulla crisi economica dell’industria dell’editoria. Una delle più gravi è quella di Repubblica, diretta da Maurizio Molinari. I vertici del gruppo Gedi, diretto dal nipote dell’avvocato Giovanni Agnelli, John Elkann, continuano a chiedere tagli redazionali, causando forti tensioni.

L’ultimo piano prevede 50 prepensionamenti. Le insoddisfazioni all’interno del giornale, faro della sinistra intellettuale, risalgono alla vendita della famiglia De Benedetti al gruppo editoriale della Fiat-Chrysler che comprende La Stampa, Il Secolo XIX e L’Espresso. La cartina di tornasole sono le dimissioni tempestose degli ultimi due comitati di redazione. Nel maggio 2020 il nuovo direttore Molinari si rifiutò di pubblicare un comunicato critico su come il giornale aveva trattato la vicenda del prestito con garanzia pubblica di 6,3 miliardi alla Fca, controllata da Exor come Gedi. La seconda volta che il Cdr si è dimesso, nell’agosto 2021, è stata per le divergenze sulla trattativa dei prepensionandi. Ora ci prova un terzo Cdr.

Aggiornato il 09 settembre 2021 alle ore 09:32