Da un anno e mezzo a questa parte abbiamo assistito a eventi che mai avremmo immaginato. Siamo stati all’improvviso catapultati in un brutto film di fantascienza: città spettrali, morti per strada, clima da guerra batteriologica e, udite, virologi star. Ebbene, ne hanno parlato tanto tutti questi personaggi specializzati in branche della Medicina da sottoscala, dove probabilmente lavoravano fino all’altro ieri, prima di essere chiamati ad apparire davanti alle italiche telecamere come se fossero i cugini brutti di Brad Pitt o i parenti “scemi” del Premio Nobel.
Ci siamo sorbiti per quasi due anni dei signor nessuno che, ripeto, fino all’altro ieri non erano nemmeno lontanamente avvezzi alle interviste e agli intervistatori. Ci hanno spiegato, compresi strafalcioni clamorosi, il funzionamento di questo maledetto virus cinese che ha rovinato le nostre vite sotto più profili, ivi compresa quella di dover guardare queste facce da ometti qualunque, che se non fosse stato per autori e giornalisti televisivi perlopiù ignorantissimi in Scienza e Medicina non sarebbero mai diventati come una pillola amara da ingubbiarci a pranzo, cena e colazione.
Però – però – qui stavolta abbiamo toccato il fondo della decenza e della decadenza, qui ormai il declino anche culturale della nazione va di pari passo col professorino celebre, ormai celeberrimo: noi vorremmo davvero sapere di chi è la mente che ha partorito l’invito sul tappeto rosso del Festival di Venezia di Roberto Burioni e signora. Qualcuno ha detto “tristissimo”, qualcun altro ha scritto “ridicolo”: io direi, più che altro, inspiegabile.
Certo, saranno stati più degni di attori cani e attrici cagne che hanno sfilato su quel tappeto, gente che al massimo avrebbe dovuto fare la commessa al minimarket o il pony express, l’ignoto palestrato impacchettatore di Amazon, coatti che per espressività e arte non avrebbero superato il mio cactus, ma almeno quelli erano in qualche modo dei wannabe del mestiere, partecipavano in qualche modo al circo del cinema e alla sua grande famiglia (che per una parentela e un aggancio in più, per ottenere un finanziamento ministeriale, ormai fa entrare più o meno chiunque).
Va bene, va tutto bene, anche far lanciare messaggi sociali da quei lidi e quei pulpiti e quelle conferenze stampa. Il cinema è pur sempre ancora uno specchio della società, il miglior artista dell’imitazione della vita e non viceversa, parafrasando al contrario Oscar Wilde. Ma Burioni… perché Burioni? Perché non resistere alla tentazione di dare voce all’attualità – per di più nefasta e fonte di scontro civile aspro, rendendolo ancor più spigoloso con una dichiarazione fuori luogo – in una kermesse internazionale dove all’estero avranno detto poveracci questi italiani, si vede che di cinema non sanno più parlare se devono invitare a riempire spazi e giornali gente ignota che ci parla di vaccino, saranno da quinto mondo e andranno convinti, o avranno leggi talmente illiberali che se non ti vaccini ti ghettizzano e devono fare propaganda.
Non c’è niente di più deprimente di vedere un pesce fuor d’acqua agghindato a festa, compresa la bella consorte in mise dorata ma pur sempre rispondente al concetto che non perdona, quando fai una sfilata del genere, ovvero ma chi ti credi di essere, ma ’ndo vai, ma chi sei, per dirla alla Alberto Sordi che di sicuro ci avrebbe pesantemente ironizzato. Da questi palchi, da questi tappeti e da questi pulpiti parlateci di che fine ha fatto il cinema italiano, che fine faranno le sale, che fine hanno fatto le piccole case di produzione, gli attori indipendenti, le attrici che hanno studiato o quelle di talento (perché ne vediamo sempre troppo poche e sempre meno e sempre le stesse).
Ma soprattutto: ti invitano al Festival? Bene, mettiti il tuo bello smoking, accetta e ringrazia in sordina e se vuoi essere davvero elegante entra dal retro, non fare la passerella e non salutare i fotografi come fossi una star, anche se “ti ci credi” o ti ci fanno credere, perché chissà quale obnubilato parvenu di quale paesello sconosciuto ti ha invitato come “vip”. Credi a me, piuttosto, che ti dico onestamente che proprio non lo sei.
Aggiornato il 07 settembre 2021 alle ore 10:13