Vaccini, Vella: “La priorità è vaccinare i Paesi poveri”

Secondo Stefano Vella non è complicato superare i brevetti. Da un lato produrre i vaccini in tanti Paesi, dall’altro donarli a quelli più svantaggiati per contrastare la circolazione del virus. Questa la strategia delineata dall’infettivologo e docente all’Università Cattolica che fa parte della task force T20 che contribuisce ai lavori del G20 della Salute. “Il primo punto – afferma in un’intervista alla Stampa – sono i vaccini ai Paesi svantaggiati. Guarda caso le varianti vengono da India, Brasile e Perù, dove il virus galoppa”. L’obiettivo dopo il Patto di Roma dei ministri della Salute è “mettere insieme i ministri delle Finanze e della Salute per fare seguire alle parole i soldi”. La “svolta sul lungo periodo”, prosegue l’infettivologo, è rappresentata dal “produrre i vaccini in tanti Paesi, compresa l’Italia, ma va supportata l’iniziativa Covax per donare le dosi”. Altro fronte su cui lavorare, è quello di far saltare i brevetti, e “non è complicato”, spiega Vella. “AstraZeneca, che è più maneggevole dei vaccini a Rna, è brevettato dall’Università di Oxford. E anche gli altri produttori sono disponibili in cambio di poco a trasferire la tecnologia a nuovi impianti nei Paesi svantaggiati”.

Frattanto, Sergio Harari interviene nel dibattito sull’obbligo vaccinale. In un intervento sul Corriere della Sera, il professore di Medicina interna alla Statale di Milano si dichiara stupito del “clamore che accompagna il dibattito pubblico sull’ipotesi di vaccinazione obbligatoria. Il primo obbligo vaccinale fu introdotto nel nostro Paese all’indomani dell’unità d’Italia, nel 1888, per arginare la diffusione del vaiolo”. Il direttore del Dipartimento di Scienze mediche del San Giuseppe sottolinea che “l’obbligatorietà dei vaccini di cui tanto si discute in questi giorni non è certo una novità”. L’obbligo vaccinale, per l’esperto, rappresenta “l’unica possibilità per debellare alcune malattie infettive: la storia, a partire dall’esempio del vaiolo, ne è testimone”. D’altra parte, aggiunge Harari, “tra obbligo e semplici misure di convincimento non ci sono dubbi sulla maggiore efficacia del primo”. Dunque l’obbligatorietà, dopo le approvazioni degli enti regolatori, “è una strada non solo ragionevole, ma molto probabilmente l’unica che possa garantire una duratura via d’uscita dalla pandemia”.

Aggiornato il 07 settembre 2021 alle ore 13:03