Lo scorso week-end sulla spiaggia di Capo Miseno, a Bacoli, due ragazze indicate come omosessuali sono state aggredite da alcuni bagnanti mentre prendevano il sole.
“Siamo state insultate e invitate a lasciare la spiaggia perché siamo lesbiche”, hanno raccontato Francesca e Martina. E hanno spiegato: “Siamo state umiliate soltanto perché volevamo trascorrere una giornata insieme al mare”. Ma pare che una volta scoperto da alcuni presenti che costituivano una coppia gay sono state invitate ad abbandonare la spiaggia per “non creare interrogativi strani nei più piccoli”. Al rifiuto delle ragazze un uomo, accompagnato da parenti e amici, ha aggredito verbalmente prima e poi anche fisicamente le due ragazze. A nullo è valso l’intervento di alcuni giovani a sostegno.
Mi chiedo come hanno fatto questi bagnanti indignati a dedurre che le due giovani potevano essere omosessuali? Perché non potevano essere due amiche, due colleghe, oppure due sorelle, due cugine? Da che cosa hanno capito l’eventuale relazione al mare, in costume, in una spiaggia affollata, in una giornata di fine settimana e di relax per tutti?
Voglio raccontare al proposito un piccolo episodio che mi è capitato con la mia nipotina di otto anni. Era in camera con me e del tutto involontariamente, ci tengo a precisare, mi è scivolato l’asciugamano e sono rimasta – ahimè – come in costume a due pezzi. La mia nipotina ha sgranato gli occhi e poi con una dolcezza che mi ha strizzato il cuore si è messa le sue manine a protezione sullo sguardo ed è sgusciata via dalla camera, camminando di traverso. Lieve, come un angelo, senza dire nulla. L’ho guardata in silenzio, commossa, intenerita fino al midollo, poi ho pensato che noi abbiamo perso il baricentro della vita e vediamo i fatti e le questioni con la lente parziale e spesso difettosa dei diritti dei grandi, dei nostri egoismi, della falsa e insulsa logica di una modernità deviata e… non voglio andare oltre.
Se per un attimo ci spostassimo dalla parte dei bambini, capiremmo quello che ci fa sbagliare, ci divide, ci oppone a volte fino all’errore madornale. Guardare il mondo, noi stessi, le nostre ragioni “con gli occhi dei bambini” non solleverebbe mai questioni di genere e altre assurde corbellerie, ma ci aiuterebbe a ritrovare il pudore, cioè la lievità dei sentimenti, la loro incontaminata purezza, il bene senza genere, la giustezza delle cose.
Il pudore sarebbe una felice riscoperta, un sorriso tra tante fatiche, lo stordimento di risentirsi bambini in quel mondo tutto da scoprire con gioia, entusiasmo e fiducia. E “pulizia”, sì, proprio così, non queste immonde città e immondo tutto, ma la “pulizia” che ha ancora la mente dei piccoli, che diciamo per questo “innocenti”. E dunque il pudore che essi ci trasmettono ancora come angeli e poco come persone, ci induce a non ragionare solo coi nostri bisogni, diritti, ragioni, egoismi e anche dalla parte sbagliata della nostra evoluzione. Ci induce a sentire quello che avrà sentito la mia nipotina, che ha avuto un piccolo sussulto, ha fatto un piccolo passo indietro e poi con le sue manine, da sola, si è protetta, preservando la sua piccola anima gaia e incontaminata, ristabilendo il suo equilibrio e sfuggendo a quella piccola frustrazione.
Io non ho detto niente, lei mi ha guardato forse temendo una parola, chissà anche solo “scusa” o peggio una di quelle spiegazioni che oggi qualcuno vorrebbe portare nelle scuole oltre ogni comprensibile e accettabile ragionamento, ma io le ho fatto un sorriso di benevolenza e amore. E lei mi ha abbracciata come cercando uno scoglio a cui aggrapparsi.
Poveri bambini, quanto li stiamo facendo soffrire e non lo capiamo. Quando turbiamo un bambino sarebbe meglio mettersi una pietra al collo e gettarsi in mare e anche solo chi ha visto “si cavi un occhio” o chi non ha fatto “si tagli un braccio”. Discettiamo di sesso, sentimenti, ragioni, diritti, pretese, discutiamo sull’omofobia, per carità non voglio neppure entrare nel merito qui, e non poniamo al centro il pudore. Ma non il nostro, quello dei più piccoli. Che è una condizione beata e serena, fragile e angelica, una linfa vitale e necessaria, una declinazione con cui dovremmo declinare lo scibile. Il pudore e da qui la pudicizia. Quella che ci insegnano i bambini con le loro manifestazioni spontanee, come messaggeri di un cuore che sta più in alto.
Ecco, i programmi dovremmo farli nel rispetto del pudore dei bambini, i quali dovrebbero essere tutelati prima di tutti e con tutti i mezzi. Non voglio arrivare a discettare delle “innominabili cose” che una devianza politica, che ha rotto gli argini, sta facendo dilagare in famiglie, genitori, insegnanti, partiti e persone che avrebbero ruolo e titolo per fermare, la quale mira a sconvolgere, ferire e strappare per sempre l’innocenza dei bambini.
Altro che adozioni gay, sarei severissima, oltre forse la giusta misura. D’altronde il Vangelo, che gronda solo misericordia e perdono, è netto e incorruttibile sui diritti dei bambini. Allora provo a rovesciare la questione per quelle due ragazze e per chiunque, ricordando che chi fa bene ai bambini, dalla loro parte, cioè quelle manine sugli occhi, compie un atto di altruismo e umiltà, di bene e amore. Quello vero però.
Francesca e Martina, invece, hanno ricevuto la solidarietà dei rappresentanti delle istituzioni. Il sindaco della città flegrea: oltre che a condannare l’episodio su Facebook, le ha contattate ed invitate in città, mentre il consigliere regionale di Europa Verde ha espresso il proprio sdegno per l’accaduto. La politica e le istituzioni hanno responsabilità non solo emotive e sentimentali, ma oggettive. Questi amministratori sono imperdonabili.
Aggiornato il 20 luglio 2021 alle ore 15:38