
Mai come in questo particolare periodo storico, lo stato emergenziale generato dalla pandemia, appaiono necessarie considerazioni in ambito di disastri e di maxi calamità, situazioni che impongono necessariamente il trattamento di alcuni essenziali valori etici e deontologici. Il punto di partenza è sicuramente l’inviolabilità della vita umana, il valore unico di ogni essere umano. Tale basilare assunto deve essere conciliato con il principio di benificialità. È doveroso intervenire sulla persona ove il rapporto rischio beneficio sia positivo e ciò, al fine di evitare inutili accanimenti a detrimento di altri situazioni, più gravi e, magari recuperabili, che verrebbero tralasciate.
L’economia sanitaria non è in contrasto con questi temi, ma il corretto impiego della stessa in tutte le sue sfaccettature garantirebbe una migliore allocazione delle risorse e un loro corretto utilizzo, nel mondo della salute pubblica. Due presupposti essenziali dell’economia sanitaria sono il contemperare il concetto di equità, con quello di scarsità. L’equità descrive il principio di una giusta e imparziale distribuzione dell’assistenza sanitaria alla popolazione. La scarsità fa riflettere circa l’idea che le risorse spese in un’area sono, comunque, inutilizzabili per essere utilizzate in un’altra. Nelle analisi economiche è importante tener presente il costo di un dato intervento in quanto correlato ad altri esiti. I costi sociali della malattia, di tutte le malattie, sono generalmente divisi in tre categorie: i costi diretti, indiretti e intangibili. I costi diretti includono le spese per l’assistenza medica e le voci correlate. I costi indiretti sono quelli risultanti dalla perdita della funzione nell’attività propria usuale, includono l’incapacità lavorativa, il congedo di malattia o la ridotta produttività associata con la diminuzione delle ore lavorative o la necessità di cambiare la natura del proprio lavoro per ridurre ogni disfunzionalità. I costi intangibili sono associati con la perdita nella funzione, l’aumento del dolore e la ridotta qualità di vita. Quindi, le spese di un intervento in caso di calamità devono tener conto di questi aspetti. Considerato che al momento in cui impegniamo delle risorse umane o finanziarie per aiutare qualcuno automaticamente operiamo delle scelte: infatti queste risorse divengono momentaneamente indisponibili per altri.
In caso di un intervento, in presenza di rischio è legittimo agire sul soggetto interessato, ottenendone ove possibile il consenso, questo in aderenza con il principio di autonomia, libertà e responsabilità. Il tutto seguendo la bussola che indica il sentiero della giustizia e della solidarietà, ove a ciascun essere vivente deve essere riconosciuta uguaglianza fondamentale in termini di dignità e diritti, per assicurare pari accesso alle risorse dedicate alla prevenzione, cura, assistenza, senza distinzioni di razza, genere, credo politico o religioso.
Convenzionalmente si intente catastrofe o disastro un evento calamitoso improvviso, oppure graduale, collegato all’attività umana, come nel caso della distruzione di infrastrutture indispensabili alla consistenza del tessuto sociale. Parimenti, possono concretarsi medesime fattispecie per origine naturale, come un sisma, uno tsunami, una siccità, un virus grave, degenerante in una pandemia. I confini sono davvero labili: anche piccole calamità, se non affrontate in tempo, con strumenti efficaci, possono trasformarsi in disastri. Un evento critico va, quindi, mappato, tenendo conto della dimensione spazio-temporale, della tipologia e delle conseguenze.
La medicina delle catastrofi o grandi emergenze affronta tutti questi aspetti connessi alle conseguenze della gestione dell’evento, mettendo in campo ogni possibilità che la scienza, la bioetica e la tecnica suggeriscono. Per stato di necessità, gli interventi degli operatori sanitari e ausiliari coinvolti devono essere espletati nel minor tempo possibile, per evitare il peggioramento delle condizioni cliniche, agendo spesso in un ambito completamente diverso da quello ospedaliero.
Il punto centrale della cosiddetta medicina delle catastrofi è salvare il maggior numero di individui, con la massima celerità, perché il suo dilatarsi potrebbe aumentare rischi, danni fisici e psicologici. Vige così il principio di superare lo sgomento e la sofferenza che caratterizzano l’attività nei confronti di malati e sopravvissuti, trasformando l’emergenza in un’occasione di crescita.
Il notissimo giuramento d’Ippocrate rimane, senza dubbio, la Magna Carta dei soccorritori. Il primo testo deontologico della storia dell’Ars medica, mutuando il suo nome da un medico di Kos, piccola isola greca vicina all’attuale Turchia, vissuto tra il IV e V secolo avanti Cristo, può essere considerato un momento fondamentale che segna l’iniziazione alla professione. L’opera che deve attuare la medicina tradizionale è liberare la stessa da componenti magiche e superstiziose. Il medico è tenuto a visitare ogni tipo di ammalato o sofferente, con l’unico scopo: la guarigione, senza l’uso di violenza e senza divulgare quanto conosciuto e appreso nel suo esercizio (di qui l’origine del segreto professionale). Principi sicuramente antichissimi, ma sempre attuali, che vincolano gli operatori a tenere comportamenti di “onore e decoro” nella quotidianità e nei vari scenari che la vita ci prospetta. Qualunque essi siano...
Aggiornato il 12 luglio 2021 alle ore 10:01