Le aziende italiane non sono uscite dal ciclo più crudele della pandemia. Restano molte incertezze da affrontare a partire dall’autunno. L’autostima impressa sul sistema dal premier Mario Draghi non trova nel settore dell’editoria il passo necessario per uscire dalla crisi. L’industria dell’informazione e della comunicazione continua a presentare evidenti segni di debolezza. L’uso della Cassa integrazione è esploso per tutto il periodo del lockdown al punto che in molti quotidiani e periodici il lavoro si è svolo in modo confusionario alternativamente in presenza e da remoto. I convulsi negoziati andati in onda a Palazzo Chigi tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e il governo non hanno coinvolto il mondo giornalistico. Perché? Eppure le crisi sociali sono tutte eguali. Pochi giorni fa il Gruppo Gedi ha presentato un piano di tagli con 33 prepensionamenti al quotidiano La Stampa. In cambio il gruppo del mega-imprenditore John Elkann, che guida un impero da 37 miliardi di euro, ha “concesso” l’assunzione di 13 giornalisti e 3 esperti digitali, cioè non giornalisti con contributi all’Inps e non al sofferente Istituto dei giornalisti. Prepensionamenti che paga invece l’Inpgi.
Secondo voci del settore a seguito del calo dei ricavi e del peggioramento delle vendite causato dal Covid la prossima sventagliata di tagli toccherà a Repubblica di Maurizio Molinari. Gli editori hanno già i dossier pronti, basati sul calo consistente della diffusione dei giornali dal 2013 al 2019. Se si misura l’indennità dei cambiamenti provocati dalla pandemia appare chiara la profonda incidenza sull’editoria. La tenuta del sistema Italia passa anche attraverso una stampa solida e autonoma, con basi in grado di far fronte alle sfide delle innovazioni tecnologiche e della concorrenza di altri media. In queste settimane, in vista dell’entrata in vigore del Recovery plan con i soldi europei, il governo Draghi sta accelerando i tempi per il varo della riforma degli ammortizzatori sociali in modo da estendere le tutele ad una platea potenziale di 4 milioni di lavoratori, attualmente esclusi. Il provvedimento dovrebbe essere messo a punto entro la fine di luglio. Tra le priorità c’è la necessità di potenziare l’assegno di disoccupazione, la cosiddetto Naspi introdotta alcuni anni fa per offrire un momento di respiro per ritrovare lavoro a chi veniva licenziato senza colpa. Lo Stato nel frattempo tramite l’Inps ha pagato nel periodo che va dal primo aprile 2020 al 31 maggio 2021 ben 5 milioni e 415mila ore di Cassa integrazione, senza contare i miliardi per il reddito di cittadinanza e dell’improvvido provvedimento cashback.
Se cambiamenti debbono esserci la regola deve valere per tutte le categorie. Da alcuni mesi è battaglia sulla eventualità che l’Inpgi venga commissariato a causa del deficit di circa 250 milioni. I vertici dell’Istituto e della Fnsi hanno scelto la strada, difficile da percorrere, dell’allargamento della platea contributiva attraverso l’immissione dei cosiddetti “comunicatori”. Illusioni. Anche il passaggio dei giornalisti all’Inps sarebbe un assurdo. La battaglia, secondo noi, va affrontata sul piano degli ammortizzatori sociali che pesano sul bilancio dell’ente. Il parlamento ha varato leggi che favoriscono gli editori nel dichiarare lo stato di crisi delle aziende. Il risanamento passa attraverso l’erogazione di 200 milioni a saldo del costo delle crisi aziendali. Poi si vedrà con il ritorno della normalità.
Aggiornato il 06 luglio 2021 alle ore 11:09