“Nel nostro Paese, un po’ per irresponsabile ignoranza da parte di chi non dovrebbe averla per ruolo istituzionale e un po’ per la memoria corta di quanto avvenuto realmente che dovrebbe condurre almeno ad isolare queste nostalgie, siamo costretti tutti a sopportare rivendicazioni insopportabili”. Questo e altro ha detto il colonnello Domenico Di Petrillo, che abbiamo intervistato.
È dei giorni scorsi la notizia che il terrorista Paolo Persichetti è stato trovato in possesso “di materiale istituzionale sul caso Moro”. Chi più di lei può spiegarci chi è per averlo arrestato nel 1986.
Conosco bene Persichetti per averlo arrestato nel maggio 1987 durante l’operazione che disarticolò l’organizzazione sovversiva armata Unione dei Comunisti Combattenti (Udcc) nata nell’ottobre 1985 da una costola delle Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Comunista Combattente (Brpcc). Inizialmente denominatasi Seconda Posizione poi Udcc per “celebrare” la loro prima azione terroristica, con finalità omicidiarie (Roma 21 febbraio 1986), diretta contro Antonio Da Empoli, capo del Dipartimento economico della presidenza del Consiglio, che rimase ferito nello scontro. L’operazione non riuscì a seguito della reazione armata dell’agente di scorta che uccise la militante Wilma Monaco, moglie del brigatista rosso Gianni Pelosi, arrestato dalla mia Sezione il 19 giugno 1985 ad Ostia Lido unitamente alla nota Barbara Balzerani. Nella borsa della Monaco venne trovato il documento fondativo delle Udcc in cui venivano spiegati i motivi del loro distacco dalle Brpcc e “giustificata” l’azione contro Da Empoli.
La seconda azione terroristica compiuta da quell’organizzazione è rappresentata dall’omicidio del generale Licio Giorgieri (Roma 20 marzo 1987), direttore degli armamenti del ministero della Difesa. Orbene, in questo contesto chiaramente caratterizzato come certamente terroristico, Persichetti, nome di battaglia “Eugenio”, ha svolto un ruolo confermato dalle seguenti circostanze oggettive. Le connesse considerazioni le lascio al giudizio del lettore. Venne individuato la prima volta nel marzo 1987 durante un pedinamento che lo vide incontrarsi con un giovane in zona Porta Cavalleggeri, a Roma, in un atteggiamento particolarmente guardingo, direi “tipico” del modo di agire brigatista, che costrinse il dispositivo di controllo ad abbandonare il servizio per evitare di svelarne l’attività in corso che già si manifestava particolarmente efficace.
Venne identificato pochi giorni dopo perché sorpreso a bordo di una moto risultata a lui intestata. Le conversazioni telefoniche registrate in occasione di intercettazioni attivate su utenze telefoniche – pure su telefoni pubblici – anche da lui usate lo misero in evidenza non solo per i contatti sistematici con esponenti di vertice della banda armata ma anche per i contenuti delle conversazioni stesse che lo ponevano assolutamente interno alla vita e progettualità della banda armata. Le intercettazioni attivate sui telefoni pubblici, evidentemente in “chiaro”, derivavano dalla decrittazione delle agendine telefoniche trovate in possesso di Paolo Cassetta e Geraldina Colotti, sicuramente ai vertici delle Udcc, arrestati il 22 gennaio precedente insieme a Fabrizio Melorio dalla mia Sezione ad una fermata degli autobus in via Nomentana, a seguito di uno scontro a fuoco durante il quale rimase ferita la Colotti. La decrittazione delle agendine trovate in possesso dei due ci consentì di attivare un’operazione simultanea in Italia, Spagna e Parigi che portò dopo alcuni mesi alla completa disarticolazione della banda.
I suoi contatti di vertice erano Claudia Gioia e Francesco Maietta, quest’ultimo latitante precedentemente localizzato a Parigi, Daniele Mennella, archivista del settore della Polizia Stradale del ministero dell’Interno e Maurizio Fallone, autista presso lo stesso ministero, e molti altri. La constatazione che non si trattava di meri contatti ideologici, a parte il contenuto già chiaro delle conversazioni telefoniche intercettate, fu confermata dal fatto che il 15 maggio 1987 venne pedinato mentre insieme a Claudia Gioia si aggirava, con modalità tipiche delle cosiddette “inchieste” prodromiche ad un attentato, in prossimità di via Nemea (civico 46), abitazione del citato Antonio Da Empoli che, evidentemente, sollecitava rinnovata attenzione. E ancora il 19 maggio successivo, sempre insieme alla Gioia si aggirava, francamente con analoghe finalità, intorno a via Prenestina (civici 683 e 388), rispettivamente sede della società Abete Grafica Editoria, di cui era consigliere delegato Luigi Abete, all’epoca presidente di Federindustria Lazio, e abitazione dello stesso Abete. Nei giorni successivi l’attività di osservazione veniva continuata anche ad opera della stessa Gioia accompagnata da Francesco Maietta.
Il 29 maggio, dopo aver localizzato vari covi riconducibili all’organizzazione decisi di intervenire con un’operazione quasi simultanea che si sviluppò in Italia, Spagna e Parigi. Nel covo di viale Giotto (civico 6), dove arrestammo Gioia e Maietta trovammo documentazione inequivocabile circa il ruolo direttivo dei primi due, in sostituzione di Paolo Cassetta e Geraldina Colotti. Anche Persichetti venne arrestato il 29 maggio presso la sua abitazione. In sede di interrogatorio con il Pm del processo confessò la sua partecipazione all’inchiesta che poi aveva portato all’omicidio del generale Giorgieri, materialmente compiuto dal Maietta. In particolare, confessò di aver portato nella zona dell’attentato la moto utilizzata per compiere l’azione e di aver poi condotto il pulmino impiegato per facilitare l’allontanamento del commando dal luogo dell’attentato. Durante il processo ritrattò le sue dichiarazioni. Scarcerato nel 1989 per decorrenza termini della carcerazione preventiva, riparò a Parigi prima che la condanna a 22 anni e 6 mesi divenisse definitiva. A Parigi si unì alla “nomenclatura” rivoluzionaria italiana, sostanzialmente capeggiata da Oreste Scalzone e Cesare Battisti, ben sostenuta e protetta dalla cosiddetta “gauche caviar”, e acriticamente “tutelata” dalla “dottrina Mitterrand”, o meglio “controterrorismo preventivo, elaborata dal magistrato Louis Joinet. Sostenuto dalla stessa area ideologica che, sempre acriticamente, sostenne la latitanza a Parigi prima, l’espatrio e l’accoglienza nel Brasile di Lula del noto assassino Cesare Battisti. Nel novembre 1993 venne arrestato a Parigi al rinnovo del permesso di soggiorno. L’arresto avvenne a seguito dello scontro politico esistente in quel periodo tra il presidente François Mitterrand, socialista, e il primo ministro Édouard Léon Raoul Balladour, gollista. Si avvalse del diritto di opporsi e venne scarcerato. Venne estradato definitivamente nel 2002 e nel 2008 venne posto nel regime di semilibertà.
Questa ultima vicenda conferma che i terroristi, o “ex terroristi” per qualcuno, godano di supporto non solo culturale ma anche dall’interno del contesto politico?
Non ho notizie concrete sull’attuale inchiesta giudiziaria che lo vede coinvolto, né voglio esprimere pareri sulla congruità dei provvedimenti emessi per correttezza ed anche perché, ripeto, non ne conosco bene i contenuti. Con la stessa chiarezza, ribadendo che Persichetti non c’entra affatto con il sequestro e omicidio di Aldo Moro, altrettanto chiaramente posso affermare che in tempi recenti ho avuto modo di constatare il suo impegno pubblico, sostenuto anche da alcuni parlamentari organizzatori di convegni sul tema del terrorismo negli Anni di piombo. In quei contesti appariva chiaro che l’azione di Persichetti era indirizzata ad affermare la giustezza di una sorta di “identità” rivoluzionaria senza però sprecare parole sulle centinaia di morti che le organizzazioni eversive avevano eseguito, compresa la sua. Per poi naufragare miseramente nella repulsione progressivamente manifestata dalla società italiana ben prima che dalla disfatta militare subita. Ma nel nostro Paese un pò per irresponsabile ignoranza da parte di chi non dovrebbe averla per ruolo istituzionale e un po’ per la memoria corta di quanto avvenuto realmente che dovrebbe condurre almeno ad isolare queste nostalgie, siamo costretti tutti a sopportare rivendicazioni insopportabili.
Con il suo libro “Il lungo assedio” (con la prefazione di Nando Dalla Chiesa, ndr) ha fornito un contributo storico per difendere la memoria degli anni in cui ha combattuto i terroristi rappresentando lo Stato. Oggi quanto serve far conoscere quegli anni alle nuove generazioni il lavoro degli uomini dello Stato per fronteggiare e sconfiggere la “lotta armata” dei terroristi?
Ho scritto quel libro, dopo 40 anni di silenzio, sotto forma di diario operativo con date, nomi, circostanze proprio per contrastare con i fatti e non con le opinioni, sul piano oggettivo quindi, queste pretestuose ricostruzioni e analisi. In proposito mi viene sempre in mente la frase con cui il giudice istruttore Francesco Amato chiuse la sua sentenza di rinvio a giudizio nell’inchiesta “Insurrezione armata contro i poteri dello Stato” che suonava un po’ così: “… e scava-scava vecchia talpa ma invece di uscire nel giardino d’inverno è sbucata nell’immondezzaio della storia”.
(*) Domenico Di Petrillo, “Il lungo assedio. La lotta al terrorismo nel diario operativo della Sezione Speciale Anticrimine Carabinieri di Roma”, Melampo, 375 pagine
Aggiornato il 30 giugno 2021 alle ore 12:52