Un vagone di diffide da parte di giornalisti in attività e in pensione sta sommergendo i vertici dell’Istituto di previdenza, l’Inpgi. La situazione è precipitata il 23 giugno quando il Cda, guidato da Marina Macelloni, ha deciso un prelievo forzoso sulle buste paga degli “attivi” e sulle pensioni di oggi e domani. Alla base della delibera c’è il forte debito accumulato nel corso degli anni che ha creato una crisi strutturale dell’Istituto.
Non trovando soluzioni adeguate la “nomenklatura” – che gestisce da decenni tutti i vertici delle istituzioni giornalistiche – ha rotto gli indugi riproponendo una manovra punitiva dopo quella del triennio del 2017, quando il prelievo forzoso venne salvato dal Consiglio di Stato che pur rigettando il ricorso di oltre mille e duecento giornalisti ritenne che il prelievo era “irripetibile”.
È più di un anno che sulla testa e sulle tasche della categoria, duramente colpita dalla crisi dell’editoria, si stanno tentando operazioni che potrebbero finire per abolire l’autonomia gestionale dell’istituto intitolato a Giovanni Amendola. L’ipotesi è quella di far entrare l’Inpgi nel calderone dell’Inps che pochi giorni fa con il presidente Pasquale Tridico si è dichiarato disponibile a occuparsi delle pensioni dei giornalisti. A una condizione: consentirgli di gestire il prezioso patrimonio immobiliare che con tanta fatica e oculatezza era stato creato dai vecchi dirigenti dell’Istituto.
Non sarà un percorso facile. Una prima osservazione è quella relativa all’Inpgi 2 che fa registrare bilanci in attivo e non si vede perché i giornalisti autonomi (o con partita Iva) dovrebbero finire incorporati nel gran caos della previdenza nazionale. In secondo luogo, ci si chiede se è vero che la delibera del prelievo forzoso del Cda Inpgi sia stata uno scambio, con il beneplacito della Federazione della stampa, con il Parlamento tramite il sottosegretario all’editoria di Palazzo Chigi e il ministro per i Rapporti con il Parlamento per ottenere lo slittamento a fine anno del Commissariamento dell’Ente da attuare il 30 giugno.
C’è il rischio che i giornalisti in attività, sempre di meno, saranno costretti a versare una percentuale di contributi superiore a quella che grava sui lavoratori assicurati Inps? La manovra correttiva ipotizzata dalla corrente di maggioranza del Cda Inpgi (solo tre voti contrari) è finalizzata al tentativo di riequilibrare i conti. Il recupero di una ventina di milioni non è idoneo a fronteggiare le esigenze attuali e quelle future causate dalla crisi dell’editoria. Secondo un computo attuariale i buchi di bilancio resteranno molto gravosi nel medio-lungo periodo.
Il discorso è strutturale. I consiglieri di minoranza Elena Polidori, Carlo Parisi, Daniela Stigliano hanno bocciato la delibera e promosso con Francesca Altieri, Romano Bartoloni, Marina Sbardella, Paolo Trombin e tanti altri una serie di iniziative contestando bufale e mezze verità sul futuro dell’ente.
Con i sei mesi di rinvio del Commissario si sarebbero dovuti fare passi concreti per sanare un rosso di oltre 250 milioni. La chimera dell’ingresso dei “comunicatori” perseguita dai vertici Inpgi è svanita. Lo Stato è disposto ad assumere i costi del deficit e far rientrare l’Inpgi nel sistema pubblico? La verità è che la causa del dissesto sono gli ammortizzatori sociali (prepensionamenti, Cassa integrazione) che l’Inpgi è tenuto a pagare. Compresi i contributi figurativi ai parlamentari e consiglieri regionali.
Aggiornato il 28 giugno 2021 alle ore 11:38