La foto che lo ritrae in uniforme da Guardiamarina il giorno del matrimonio con Claudia d’Orléans ben sintetizza i fondamenti cui Amedeo d’Aosta si sarebbe ispirato per tutta la vita, la semplicità e la devozione verso la Marina Militare. Neppure sfiorato dalla vanità tipica della giovane età, preferì l’uniforme ordinaria di servizio a quella di gala, forse per sembrare più “normale” possibile e non dar spazio ad alcun cenno di ridondanza, su cui si potrebbe anche chiudere un occhio quando si parla di chi è stato dai più prescelto e designato come ultimo Re d’Italia.
Semplicità, normalità, rispetto verso gli altri: peculiarità che avevano caratterizzato da sempre il ramo bello dei Savoia, quello che aveva avuto come capostipite il figlio minore del Re Vittorio Emanuele II, Amedeo, primo Duca d’Aosta.
Da quel momento nel casato Savoia-Aosta si sono succedute biografie che hanno riempito gloriose pagine di storia d’Italia. Pagine pagate a caro prezzo, non di meno ben scritte. Da Emanuele Filiberto, il famoso comandante della Terza Armata, l’Invitta, mai sconfitta nella Prima Guerra mondiale, a Luigi Amedeo, Duca degli Abruzzi, ammiraglio ed esploratore, all’altro Amedeo d’Aosta che dopo aver ricevuto l’onore delle armi all’Amba Alagi è deceduto in prigionia a Nairobi, nel 1942. In mezzo ai suoi uomini. Alla sua morte il titolo passò al fratello Aimone a cui parve pertanto naturale apporre il nome di Amedeo all’unico figlio nato l’anno successivo, il 27 settembre 1943. Figlio che avrebbe dovuto provare già da infante la crudezza del campo d’internamento, dato che nel luglio 1944 per ordine personale di Heinrich Himmler fu internato assieme alla madre a Hirschegg, in Austria. Un ricordo che di sicuro avrebbe contribuito in seguito a rafforzare la sua ossessione non solo verso ogni regime totalitario, ma altresì a qualsiasi forma di Governo carente di democrazia.
A partire dalla prigionia non ebbe un’infanzia facile, nonostante fosse un’Altezza Reale. La morte prematura del padre lo segnò e le difficoltà del collegio militare Francesco Morosini, a Venezia, gli parvero dunque lievi. Trovò naturale proseguire con l’Accademia Navale, divenire ufficiale della Marina Militare e servire lealmente un’Italia cui la sua casata era stata sempre fedele, sebbene non ripagata del pari. La Marina rimase sempre nel suo cuore e amava rievocare coi suoi amici la vita sul mare, orgoglioso dei tatuaggi che testimoniavano il suo essere lupo di mare.
Chi ha avuto la fortuna di incontrarlo non ne dimenticherà la semplicità che distingue le anime grandi e belle. Fu questa semplicità a portarlo con naturalezza verso l’agricoltura quando dovette abbandonare le onde. Dal mare approdò alla terra, amando questa quanto quello e sempre evidenziando la generosità e la disponibilità che lo portavano ad aiutare gli amici, ma anche le persone che non conosceva. Qualità riconosciutegli senza ritardo dal piccolo borgo contadino toscano cui era profondamente legato.
Aveva avuto un’educazione da membro della famiglia reale, ma non amava ostentarla e, se voleva rimbrottare lo sbaglio formale di qualche amico con cui aveva più confidenza, ricorreva al ricordo delle punizioni che riceveva in Accademia, piuttosto che riferirsi agli insegnamenti dei suoi precettori personali.
Forse negli ultimi tempi sapeva che stava andando incontro alla fine ma non temeva quanto presagiva. Parlava di fiori, alberi e semine. Era della pasta dei suoi maggiori: andare incontro al destino con elegante noncuranza, per naturale inclinazione, ben più che per dovere d’altissimo lignaggio.
Aggiornato il 03 giugno 2021 alle ore 11:35