Quando si compie l’analisi su di un fenomeno, quale esso sia, si devono formulare delle ipotesi interpretative. All’accadere del virus vi fu una interpretazione ipotetica anzi affermativa: riconoscendo l’origine cinese, la si attribuiva ai pipistrelli, ad animali selvaggi i quali contaminavano l’uomo.
Quindi dall’uomo si trasmetteva all’uomo: il passaggio dall’animale all’essere umano avviene in molte occasioni e quindi la tesi aveva un suo fondamento. A Wuhan, fonte del contagio, esiste un mercato nel quale si vendevano cibi menzionati, possibile quindi il passaggio dagli animali all’uomo.
Altra ipotesi è un errore di laboratorio o addirittura la volontà di contaminare il mondo occidentale da parte cinese per invalidarlo: questa tesi aveva il sostegno, dico l’origine da laboratorio, di Luc Montagnier, insigne studioso, il quale rilevava nel virus elementi di Hiv, un intervento esterno non presente negli animali. La Cina ha sempre negato l’errore di laboratorio e meno che mai la volontà di contaminare il mondo. Non si è avuta una prova certa sull’una o altra tesi.
In questi giorni, giungono notizie sorprendenti. Pare che le persone addette al laboratorio di Wuhan furono contaminate prima che si sapesse della presenza del virus e della sua diffusione. È una rilevantissima cognizione: del resto basterebbe la logica, anche se non bisogna mai, in campo sperimentale, fondarsi sulle deduzioni della ragione. Ma in realtà, cos’è più ragionevole supporre: che il virus provenga dagli animali o dal laboratorio di Wuhan? Sembra meno sensato, meno razionale che venga da animali e dal mercato. In ogni caso, se effettivamente persone del laboratorio sono state infettate, otterremo la prova quasi certa sull’origine del virus.
Questa premessa vale per altri argomenti. Si parla solo o tanto di mondo verde, ripristino della natura, energie pulite, ma non si parla – o lo si fa minimamente – di quel che cova nei laboratori, dei mutamenti genetici, del controllo dell’umanità. Eppure, la disposizione ad una vita salutare esiste, c’è un sentito ritorno alla natura, anche al borgo, alla cittadina, alla comunità, al piccolo giardino, alla vicinanza con gli animali, al cibo di origine naturale. Nessun vagheggiamento di una civiltà agreste, ma le nuove tecnologie favoriscono questa possibilità: vivere in luoghi non metropolitani ed essere a contatto con il mondo.
Situazioni da considerare. Sentire di nuovo la Madre Terra, sentire di nuovo l’agricoltura, gli animali, le piante, il cielo, le stelle e le montagne, il piccolo borgo, case in campagna, aria pulita, fuga dal traffico cittadino, udire il silenzio, l’altro ravvicinato. È il modo per contrapporsi all’alterazione alimentare, alla perdita di sensazioni. Il cittadino perde le sensazioni, non odora, non vede, non ascolta, non tocca.
I mezzi di comunicazione odierni saranno accresciuti nel futuro. Ma se perdiamo chi siamo, ci dissolviamo. Non si diventa universali senza identità, diventiamo universali se diffondiamo la nostra soggettività. È l’essenza del discorso. Io sono io, tu sei tu, io non devo perdere me stesso e farmi nessuno, per timore che essendo io mi contrappongo a te. Per volgarizzare: il vino non diventa universale perdendo le caratteristiche di vino, ma diffondendosi come vino. La merce globalizzata per l’uomo globalizzato è cera persa, fumo di notte. L’universale non deve essere la perdita di identità ma l’universalizzazione delle varie identità.
Vedremo. È una guerra. Vi è una globalizzazione senza identità che precipita l’individuo e la natura nell’indifferenziato generico generale. Aggiungo che sono in vendita alimenti scartati riciclati con la certificazione! Non c’è vergogna. Sarebbe magnifico essere locali e planetari, con i piedi in un borgo o in una città, amati, soggettivizzati e tuttavia spaziare nel cosmo. Anche se qualche maligno suppone che Ulisse si diede ai viaggi per allontanarsi da Penelope, c’è da supporre che viaggiava perché aveva un riferimento certo, ossia proprio Penelope. Quando ero in ospedale e la mente pensava fin troppe vicende, volevo tornare a casa, al mio tavolinetto, in una piccola stanza tempestata di quadri, mia fino all’ultimo ninnolo. Non la cambierei con l’universo, che tuttavia pensavo.
Aggiornato il 03 giugno 2021 alle ore 11:43