
La conversione ecologica è il mito del nostro futuro come la digitalizzazione, l’economia verde, la smart economy. Tutti con lo sguardo al futuro strabiliante quando avremo giardini sui pianerottoli, aria da colmarsi anche la pancia, pulita come uno specchio, quando vedremo amici e conoscenti per simulacri, per immagini, quando non saremo né uomo, né donna, o donna e uomo contemporaneamente, quando i Robot partoriranno senza dolore e l’uomo non lavorerà più.
Quest’ultima è l’evenienza più occultata e più drammatica. Si discute di emissioni, di energie solari, eoliche, di idrogeno, più in avanti, di riduzione frenetica del Co2 negli anni fino al 2030, di sburocratizzazione per consentire questi risultati, di uso del Gas nell’evenienza di diminuzione dell’eolico e del solare. E, lo dicevo, di digitalizzazione, poco o niente dei Robot, dell’intelligenza artificiale, che invece staranno a base dei nuovi sistemi produttivi. Precisamente: non vi è alcuna elaborazione su quel che accadrà nell’occupazione. Anzi la fiducia, tipica della mentalità capitalistica, che ogni evoluzione comporta un avanzamento, al dunque: la transizione ecologica susciterà occupazione nel campo della... transizione ecologica.
Ma rischiamo di avventurarci in una situazione di carenza energetica, e soprattutto di sostituzione del lavoro umano, mentre la digitalizzazione può estraniare i rapporti, quantunque abbia una funzionalità sicura, l’individuo digitalizzato reca una concentrazione operativa riconoscibile e funzionale. Intanto, di ravvicinato, vi è per noi un probabile riscatto del Centro-Sud. Il capitalismo, che vive l’euforia del “debito buono”, ha bisogno di investire, e non vi è campo di remunerazione maggiore che il Sud, tutto da rifare o da fare: terra di conquista.
Certo: burocrazia, malavita, morbo lo devono consentire, ma qualcosa avverrà. Uniamo le forze, gli sforzi. Ora che giunge il denaro, che vi siano progetti e si estirpi il maleficio buro-politico o ne comprendiamo il maleficio. Facciamo, ridiventiamo una Nazione. E sia, c’è ancora il virus, che dobbiamo combattere senza abbatterci.
Abbiamo a disposizione: mascherine, distanziamento, lavaggio delle mani, areazione, sanificazione, il mare, le colline e le montagne, vaccini, antinfiammatori, particelle monoclonali, respiratori. Se facciamo in modo di fornire anche fiducia, teatri, concerti, ristoranti, musei e quanto empie la vita di vita, vedrete, ce la conquisteremo la salvezza salutare. Perché questa malattia ha svelato una duplice mentalità: coloro che pretendono di uscire di casa quando fuori non piove, il cielo è netto, l’aria gentile, il profumo ottimista, i cani non abbaiano, i gatti rifiutano il pesce, e quindi non escono perché queste condizioni non esistono. E coloro i quali, se piove, escono con l’ombrello e non vagheggiano una società priva di mali.
Ci sono correnti di pensiero: giainisti, manicheisti, catari, piagnoni, che si figurano una realtà contaminante da fuggire e suggeriscono di non avere contatti. A casa, reclusi, finché il mondo non si purificherà, cioè mai. Li sentite? Non abbassare la guardia, varianti nuove, vaccinatevi ogni semestre, intanto state chiusi. Altri invece dicono: il pericolo c’è, io cerco di tutelarmi, però voglio vivere. Del resto, ad aspettare il futuro sano, sempre rimandato, stiamo ottenendo il presente rovinoso.
Insomma la faccenda è diventata, più che medica, filosofica. Come reagire alla malattia? Una vita senza rischio è inaudita, inattuabile. Noi stiamo spostando la eventualità di vivere di settimana in settimana, di mese in mese, fino a raggiungere il grado zero del rischio, ma nel contempo non passa momento che non vociferiamo di altri rischi. Di fatto: i vaccini dovevano rassicurarci? Sì e no, vi sono le varianti ed i vaccini stessi sono problematici. Ciò rende il futuro dubbio.
Cìè un errore in tale comportamento? Eccolo: non cogliere che la tutela assoluta dal male non esiste, come accennavo, e promettere una condizione senza rischio significa paralizzare la società. Altro è essere irresponsabili, altro sognare il rischio zero. Valga un esempio banalissimo. Stiamo penetrando in un territorio dei sistemi produttivi e delle relazioni umane ad elevatissimo rischio sia economico sia antropologico. La conversione ecologica potrebbe avvilire i sistemi produttivi e consegnarci una natura sterilizzata, la robotica connessa all’Intelligenza artificiale potrebbe troncare l’occupazione e palesarci un mondo freddamente automatizzato, la digitalizzazione potrebbe rendere i rapporti umani immaginari, umbratili, la scuola indiretta avrebbe effetti desolanti. Si fa gran discutere del Virus e dei suoi incombenti continui danni paralizzanti ma i mali verranno da un cambiamento dei sistemi produttivi, che possono ridurre sul terriccio milioni e milioni di persone e rendere le relazioni umane scarsamente umanizzate.
Se consideriamo che i bambini ormai nascono con i mezzi di comunicazione incorporati e scorrono giornate con tali strumenti, comprendiamo qualcosa del futuro. Il Virus copre il più radicale cambiamento dei sistemi produttivi di molto più alterativo del passaggio dall’artigianato alle industrie, dall’agricoltura estensiva all’agricoltura intensiva. Intendiamoci, ne potrebbero venire sommi vantaggi se l’accresciuta produttività fosse disponibile per l’intera società o umanità. Ma ciò esigerebbe radicalissime modifiche nei sistemi produttivi: orari, salari, profitti di cui si ha minima cognizione.
Si continua con sistemi passati mentre le tecnologie sono cambiate. Il che è insostenibile. Eppure, è il soggetto più rilevante che dovrebbe interessare. Conciliare maggiore produttività, automazione, robotizzazione con occupazione diverrà un’impresa di cosmologia sociale. Intanto dedichiamoci al Virus, purché non sia una distrazione dai cambiamenti possenti dei sistemi produttivi, da sorvegliare possentemente. È possibile scoprire, tra qualche anno, una società devastata non dal Virus ma da alterazioni sociali e sistemiche nel terreno della produzione e delle nuove tecnologie da sgomentare.
Ma pare che l’uomo abbia sempre risolto i problemi nel corso della loro evenienza. L’uomo è di una capacità adattiva esemplare. Purché si avveda dei pericoli. Il Virus è “un” pericolo non “il” pericolo.
Aggiornato il 30 aprile 2021 alle ore 11:29