Informazione e pandemia

“È stata privilegiata una comunicazione disordinata e a forte carica emotiva, sacrificando flussi di informazione affidabili e di qualità”. Lo rileva il recente rapporto “Ital Comunications-Censis” secondo il quale la comunicazione sul Covid è stata per il 49,7 per cento degli italiani “confusa”, per il 39,5 per cento “ansiogena” che sale al 50,7 per cento tra i giovani, per il 34,7 per cento “eccessiva”. Solo per il 13,9 per cento della popolazione è stata “equilibrata”. Dati di lettura che fanno riflettere sull’anno della pandemia e dell’emergenza sanitaria nel corso della quale non sono mancate disinformazioni e fake news, cioè notizie fasulle, bufale mediatiche.

La valutazione dei dati è stata fatta dal presidente del Censis, il sociologo di lungo corso Giuseppe De Rita, secondo il quale “la pandemia ha creato, oltre a paura e sconcerto, troppa comunicazione e poca informazione”. Trasmissioni televisive e radiofoniche ad ogni ora del giorno, pagine e pagine di quotidiani e rotocalchi hanno avuto come argomento principale, spesso quasi esclusivo, le vicende delle vaccinazioni, delle dosi (in arrivo e in ritardo) delle principali industrie farmaceutiche, degli ospedali con i reparti di terapia intensiva saturi, con la carenza di medici e infermieri.

In sostanza, come precisa il rapporto, “la comunicazione ha strabordato riempiendo intere pagine di giornali, travalicando in televisione dove si parlava solo di pandemia e fagocitando i discorsi quotidiani delle famiglie e della collettività”. Cosa c’è che non è andato bene nella fase dell’emergenza sanitaria? Per De Rita “all’origine del divario c’è il fatto che la comunicazione è emotiva e quindi si preferisce all’informazione”.

Va osservato che chi gestisce una situazione del genere, dal presidente del Consiglio al Comitato tecnico-scientifico, dai presidenti di Regione ai sindaci, gestisce emozione. “La comunicazione – ha precisato De Rita – serve per gestire e suscitare emozioni, spesso tragiche come quelle evocate dalla fila di bare a Bergamo altre più allegre come quelle derivanti dalle immagini stravaganti della gente che cantava sui tetti”.

Il rapporto Censis ha detto allora che la comunicazione è stata “utilizzata per creare emozione senza una precisa conoscenza delle cose perché nella comunicazione emotiva non c’è informazione”. Un discorso che vale per tutti e soprattutto per le agenzie delle comunicazioni che si sono trovate disorientate, perché non in grado di sostituire gli organi di Stato. È mancata allora un’intermediazione magari meno tempestiva ma più argomentata delle notizie.

Nella società attuale dell’immagine e della velocità delle notizie s’inserisce il discorso delle “bufale”, in inglese fake news.  In una intervista a “Teleborsa” il professore De Rita ha spiegato la realtà di questo fenomeno, che negli ultimi anni è andato crescendo, così “l’informazione sui social ha un solo valore: deve essere virale. Non deve essere corretta, non deve corrispondere al vero, non ha un disegno politico. L’unico suo obiettivo è che venga ripresa immediatamente da tutti, perché se non diventa virale non ha senso”.

Non vale per De Rita affrontare il problema in termini di moralità, attraverso un ente di controllo o un codice di regolamentazione. Queste misure non funzionano. La soluzione sarebbe quella di non riprendere le notizie messe in un circuito di informazioni virali. Il vizio non sta nel falsificatore iniziale che lancia la notizia fasulla ma in chi la riprende, finalizzandola a qualche cosa, a qualche obiettivo. In sostanza, sta nella capacità di utilizzarle.

Aggiornato il 26 aprile 2021 alle ore 11:36