Tari: a Roma costi in crescita nonostante i lockdown

Non bastavano i disservizi legati alla mancata raccolta porta a porta per gli esercizi commerciali o le croniche carenze nella raccolta rifiuti, tali da far sembrare Roma la Capitale della sporcizia.

Non era sufficiente la perdita di 227 milioni di Ama S.p.A.

Già sommersi dalla “monnezza”, ai cittadini è stato aggiunto il carico del danno oltre la beffa, con l’aumento della tassa sui rifiuti per quelle imprese verso le quali il Sindaco non ha mai speso una parola di conforto (le uniche lodi sono andate ai dipendenti di Alitalia – loro sì che “lavorano seriamente” – o a quelli di Atac).

Come evidenziato da Confcommercio, nella Capitale la riscossione della TaRi del 2020 è stata di 791 milioni di euro, rispetto ai 787 dell’anno precedente: +14 milioni di euro, nonostante le chiusure dovute alla pandemia.

Dal suo personalissimo mondo fatato, a inizio 2020 la sindaca Virginia Raggi aveva promesso: “Non aumenteremo mai la tariffa rifiuti”. Qualche mese dopo, il brusco risveglio: nel settembre 2020 il sogno si conclude con l’aumento della bolletta in misura del +4 per cento.

L’Arera, l’autorità che ha assunto funzioni di regolazione in materia, aveva stabilito che nel 2020 sarebbe dovuta diventare operativa l’adozione del Metodo Tariffario Rifiuti, con l’obiettivo di evitare voci di costo improprie, inefficienze e una maggiore aderenza tra le tariffe pagate e la reale produzione dei rifiuti, nel rispetto del principio europeo “chi inquina paga”. Il punto cardine di questo principio è che i costi della gestione dei rifiuti, compresi quelli per la necessaria infrastruttura e il relativo funzionamento, sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti. Il tutto avrebbe portato a una riduzione delle tariffe, ma solo il 21 per cento dei Comuni ha recepito questa indicazione.

In pratica, il buon senso ma anche la normativa Ta.Ri. (Dpr 158/99) imporrebbero un calcolo sulla base dei rifiuti effettivamente prodotti, o per lo meno di effettuarlo in un modo meno presuntivo e più vicino alla realtà.

Roma figura tra questi comuni virtuosi? La risposta, naturalmente, è negativa. La tariffa rimane troppo alta, con divario di costo tra medesime categorie produttive in diverse città d’Italia:

1) 0 pubblici esercizi pagano 38/40 euro al mq., contro i 25 di Milano o i 16,9 di Brescia;

2) Negozi di abbigliamento e librerie pagano una Ta.Ri. di circa 13 euro al mq., contro i 4,8 di Milano ed i 3,5 di Brescia;

3) Netto divario anche per l’ortofrutta con 46 euro al mq rispetto ai 28,5 di Milano;

4) anche gli alberghi romani pagano di più: 10 euro al mq, contro i 4,6 di Milano.

Occorrerebbe risolvere il problema della mancanza cronica di impianti funzionali alla raccolta differenziata, la carenza dei quali fa lievitare i costi e, quindi, le tariffe per le utenze.

L’80 per cento dei rifiuti vengono smaltiti fuori città. Vienna, con la metà della popolazione di Roma, ha quattro termovalorizzatori.

Del resto qui la tutela ambientale stranamente non vale: alberi abbattuti, parchi abbandonati... e i termovalorizzatori? Una chimera.

Per non parlare del disastro in cui versa l’Ama.

Ci ha pensato la Corte dei Conti ad alzare il velo sulle carenze di Roma Capitale nel controllo della municipalizzata dei rifiuti, confermando, nella deliberazione 22/2021 sul controllo dei bilanci 2017-2019, tutte le criticità afferenti alla presentazione dei conti giudiziali da parte di Ama S.p.A., e affermando che “...non risultano disponibili informazioni circa l’eventuale quantificazione delle somme ancora da traferire da parte di Ama S.p.A. a Roma Capitale...”.

E richiedendo al Comune, in sede di approvazione del rendiconto 2020, il rispetto delle previsioni in tema di asseverazione dei crediti/debiti con i propri organismi partecipati, adoperandosi, in particolare, al fine di definire le posizioni debitorie/creditorie ancora indeterminate nei confronti dei propri organismi partecipati, con specifico riferimento all’Ama S.p.A.

Al fine di garantire l’efficienza e l’economicità del servizio di gestione dei rifiuti, andrebbe valutata l’apertura al mercato: indicazione antitetica rispetto al principio che “le partecipate devono rimanere pubbliche” propugnato sin dall’inizio del suo mandato dalla sindaca.

Infatti, a tappare il buco milionario ci penserà il Comune, e con risorse proprie. Un’iniezione di liquidità di 256 milioni, un vaccino pagato con i soldi dei romani.

Previsto anche un mega impianto da 540mila tonnellate, una sorta di frullatore di rifiuti indifferenziati anacronistico e inquinante.

A Roma la transizione ecologica è solo di facciata.

Le tasse però, quelle sì, sono concrete: è la transizione, anzi l’oppressione, fiscale.

Aggiornato il 23 aprile 2021 alle ore 18:26