Mediaset-Vivendi: scontro in appello

L’intricata matassa economico-giuridica di Mediaset-Vivendi non è stata sciolta dalle tre sentenze depositate dal Tribunale civile di Milano (presidente Angelo Mambriani, giudici Daniela Marconi e Amina Simonetti) che si occupa delle controversie delle imprese. Ci vuole un supplemento. I nodi dovranno essere sciolti dalla Corte d’Appello, in attesa delle conclusioni sul piano penale.

Mediaset ha avuto ragione e torto. Il gruppo francese Vivendi del patron bretone Vincent Bolloré è stato condannato a pagare 1,75 milioni di risarcimento (più accessori di legge). È stato riconosciuto l’inadempimento dei francesi in merito al contratto di scambio azionario dell’aprile 2016 in base al quale il gruppo Berlusconi vendeva a Vivendi il pacchetto di Mediaset Premium, la pay tv che aveva i diritti televisivi del calcio. Nonostante questo riconoscimento, il Tribunale si è limitato a fissare un mini-risarcimento rispetto al danno ben maggiore lamentato dal gruppo italiano.

Il contenzioso legale si basava su una richiesta della holding Fininvest di due miliardi e mezzo per la svalutazione della sua partecipazione in Mediaset. Altri 3 miliardi di risarcimento chiedeva il gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi per la tentata scalata che ha portato Bolloré a diventare con il 29,9 il secondo azionista del gruppo di Cologno Monzese. La media company parigina dopo cinque anni di montagne di carte bollate, di dichiarazioni infuocate ha portato a casa un notevole risultato. La rinuncia unilaterale dell’acquisto di Premium e la fallita alleanza con intreccio azionario tra Cologno e Parigi (si doveva scambiare il 3,5 per cento del capitale) sono costate poco a Bolloré.

I giudici del Tribunale di Milano hanno anche respinto le accuse relative alla scalata ostile e alle criticità del patto parasociale, in quanto questo era un allegato al contratto di scambio azionario Mediaset-Vivendi mai entrato in vigore. Decisioni di non facile interpretazione ma le sentenze sono apparse subito sbilanciate, perché secondo gli avvocati di Cologno Monzese, a parte la scarsa entità del “quantum”, gli atti dimostravano che tutta l’operazione Vivendi integrava i presupposti di una condotta di concorrenza sleale. I giudici milanesi hanno accolto invece la tesi di Vivendi, secondo cui sarebbe stato il gruppo italiano a proporre a Parigi la vendita di un prodotto come quello della pay tv Premium in fase di crisi.

Il ricorso in appello allunga i tempi per la conclusione di uno dei più complessi negoziati tra aziende di due diversi Paesi. Il riconoscimento delle spese sostenute dalla famiglia Berlusconi dopo il matrimonio fallito avvalora la tesi della scorrettezza di Vivendi. I due manager francesi, Bolloré e Arnaud de Puyfontaine, sono indagati nell’inchiesta penale per manipolazione del mercato e ostacolo alla Consob. La prima partita ha avuto riflessi subito in Borsa (meno 5,2 per cento nella seduta di martedì) e sugli sviluppi del processo di internazionalizzazione del gruppo televisivo italiano.

Il Cda di Mediaset, guidato da Pier Silvio Berlusconi, ha comunque deciso di proporre all’Assemblea degli azionisti del 23 giugno il rinnovo della delega per l’acquisto di azioni proprie fino al 20 per cento del capitale. Il braccio di ferro continua. In campo anche i contrasti sulle normative europee sulla concorrenza, dopo la sentenza della Corte di giustizia europea che ha bocciato in parte la legge Gasparri sugli incroci societari nelle telecomunicazioni. È stato accertato che Vivendi bloccò il procedimento avviato presso la Commissione europea per il rilascio del nulla osta Antitrust, che si occuperà ora anche dell’intesa Tim-Dazn.

Aggiornato il 21 aprile 2021 alle ore 09:34