È tempo di guardare oltre la pandemia o dentro la pandemia e di scorgere nettamente la pandemia economica, la quale fa vittime assai più che la pandemia della salute e, specialmente, è irreversibile. Si tratta di un mutamento radicale dei sistemi produttivi, l’avvento radicale delle macchine al posto dell’uomo, l’utilizzazione estrema dei sistemi di comunicazione informatici, la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale a guida generale.
Tutto questo andamento ha dei soggetti protagonisti: i colossi dell’informatica, della distribuzione e della produzione. E due soggetti quali vittime: la piccola e media impresa, il proletariato. Il grande capitale divora il piccolo capitale, il quale a sua volta annienta il proletariato, annientato anche dal grande capitale. Non si tratta del presunto dominio della finanza, delle banche, si tratta di una rivoluzione o evoluzione dei sistemi produttivi. Perché? Perché l’uso intensivo delle nuove tecnologie ha suscitato una produttività estrema, quel che esigeva cinque persone, per dire, si ottiene adesso con una, due persone e tecnologie maggiormente efficienti, o addirittura lo si ottiene senza persone, senza lavoro umano. L’abbinamento tra robotica e potenziamento tecnologico della produttività ridurrà l’impiego di lavoratori vistosamente e irrevocabilmente. Non basta: l’informatizzazione favorirà il commercio on-line universalmente, falcidiando la vendita diretta. Ed ancora, la grande distribuzione, con minore dispendio, abbasserà i costi rovinando il piccolo commercio.
Stiamo vivendo il peggiore attacco alla piccola e media impresa, e se anche sembra che la chiusura di tali attività siano dovute al morbo, non è così, tanto è vero che la grande distribuzione è in opera. No, si tratta dell’affermazione del grande capitale che stronca il ceto medio produttivo. Fenomeno epocale di impervia soluzione. Questi fenomeni trasformativi coinvolgono la scuola, che verrà gestita informaticamente. Chi s’illude di un ritorno al passato, se finirà la pandemia; chi crede che occorra un periodo di chiusura, vaccinare e dopo riprendere la vita ormai risanata, s’illude. La potenziata produttività, la robotica, l’intelligenza artificiale non saranno eliminabili, anzi, nel caso, improbabile, di una restaurazione della normalità, si attueranno maggiormente. Al dunque avremo disoccupazione di massa e caduta dei ceti medi produttivi.
C’è rimedio? Si possono formulare ipotesi. L’ipotesi globalista: tutto il pianeta si svilupperà, ci sarà bisogno di innumerevoli lavoratori, avremo occupazione e benessere mondiale, nuovi lavori rimedieranno i passati estinti, servizi sociali, economia verde. Ipotesi globalista meno ottimistica: alcuni Paesi vorranno dominare il mondo, Cina, India, Stati Uniti, Russia e tra di essi ci sarà un possibile conflitto, economico e forse militare; ipotesi pluralistica: vi saranno aree di convivenza ma non la pretesa di dominare il mondo.
Ma la questione dell’occupazione e dei ceti medi produttivi non si risolve soltanto se si hanno pretese globaliste. Che ipotesi possiamo considerare? Dominio assoluto dei grandi organismi distributivi, informatici, produttivi, diminuzione ampia dei ceti medi produttivi, esaurimento del proletariato, concentrazione dell’economia e della finanza, massa di poveri; diminuzione dell’orario di lavoro e assorbimento della manodopera, occupazione ampia, quindi, è una ipotesi difficilissima da attuarsi se l’economia ha come scopo il profitto: progressiva invadenza dello Stato nella economia.
Impresa gestita dai lavoratori che stabiliscono orari, profitti, salari in modo da sopravvivere e reggere la concorrenza; cercare nuove occupazioni, nuove fonti di energia, addirittura emigrazioni oltre il nostro pianeta. Infine: accettare la immissione dei robot e dell’intelligenza artificiale, ma i frutti del lavoro non umano siano distribuiti agli umani, socialmente. Quest’ultima ipotesi, che sembra la utopistica massina invece sarà la più realistica. A chi verrà venduta la merce se diminuisce il lavoro? Questi interrogativi dovrebbero interessarci, e preoccuparci, oltre il virus il quale, tra le sue colpe, ha quella di occultare la più violenta e micidiale mutazione dei sistemi produttivi mai accaduta, giacché per la prima volta il mutamento non susciterà occupazione. E su ciò necessita una impegnatissima indagine.
Correva il marzo del 2020.
Non vi fu angoscia allora qui da noi:
notizie di Paesi lontani,
gente che perdeva il respiro,
laggiù, in Oriente,
reclusa a forza.
Ma l’Oriente è lontano:
noi viviamo nelle fortezze
dell’Occidente,
difesi dai monti, dal benessere,
e dalla scienza attenta.
Ma tutto il cielo poi s’insanguinò,
come se avessero scannato il Sole.
Morti, morti, tanti morti, e i morti
accompagnavano il feretro dei morti:
cimiteri per le strade,
bare sopra le bare,
bare per terra, alle porte, sui tetti.
Quale maledizione c’invadeva?
Di che siamo colpevoli,
noi, disgraziati umani,
già sottomessi alla ferrea Natura
e al dominio sociale?
Bare mute, oscure, solitarie,
bare che accompagnano
in processione altre bare.
Un anno completo è passato.
Il calvario luttuoso non è finito.
Io sono uscito dalla bara,
ho vissuto la morte
e resto vivo.
Torniamo alla vita
con un sopravanzo di passione,
raddoppiamo la volontà di vivere:
non è il timore che vince la Morte,
la Morte ha paura della Vita,
e per questo si chiude nella bara.
Da sola.
Aggiornato il 19 aprile 2021 alle ore 11:00