Da qualche anno il mattone italiano ha iniziato a parlare inglese. I nostri immobili di pregio sono diventati l’oggetto delle speculazioni dei capitali esteri. Ad interessare i grandi fondi di investimento non sono solo palazzi o hotel nei centri delle più belle città italiane, ma intere aree da acquistare a prezzi stracciati. Quello che io continuo a chiedermi, da costruttore, imprenditore ed ex palazzinaro che negli anni ha creato tanta occupazione, è: chi sono i nuovi immobiliaristi? Da dove provengono i capitali che stanno comprando le nostre città a prezzo di sconto? Perché le banche non partecipano alla riqualificazione del mercato immobiliare italiano, facendo lavorare le imprese del Paese e i loro operai? Se il mattone tira, tira anche l’economia. E come possiamo vedere, in Italia, non tira più né uno né l’altro.
Eppure, questa metamorfosi è un piano che è stato architettato più di trent’anni fa, studiato a tavolino con la compiacenza delle istituzioni finanziarie e politiche. Un continuo indebolimento della nostra economia, alla quale hanno fatto seguito gli acquisti esteri a pochi spiccioli del nostro patrimonio immobiliare e imprenditoriale. Oggi non esistono più le grandi famiglie di costruttori, ma esistono solo manager, i quali non sono imprenditori, che si muovono di concerto con le banche, capaci solamente di prestare soldi leggendo i rating e incapaci di valutare qualsiasi progetto imprenditoriale.
Oltretutto, la vera zavorra italiana è la burocrazia. Oggi se si entra in un ufficio urbanistico nessun funzionario è disposto a firmare perché timoroso di essere accusato di qualche reato. Perciò è tutto un rimandare l’approvazione dei progetti ai superiori, arrivando di fatto alle calende greche. Per le nostre città, Roma in primis, servono progetti che guardano al futuro. Penso ai grandi progetti architettonici della Silicon Valley, la sede di Apple a Cupertino o il grattacielo di legno di 350 metri in Giappone.
Bisogna ripensare interamente all’urbanistica. Il ponte di Messina non serve a nulla per il semplice fatto che la comunicazione tra la Sicilia e il resto dell’Italia è poca. Se bisogna fare un ponte, allora, bisogna importare la tecnologia da Paesi come il Giappone, con grande tradizione antisismica. A quel punto non sarà più italiano. Bisognerà indire una gara d’appalto a livello mondiale e questo, probabilmente, potrebbe escludere le maestranze italiane. Prima di pensare a nuovi progetti infrastrutturali, l’Italia deve potenziare e manutenere le infrastrutture esistenti.
Pensiamo alle bare cadute in mare a seguito di una frana in Liguria. Le bare sono state ritrovate tutte? Chi pagherà per l’incuria? E che dire dei ponti di mezza Italia che rimangono in piedi per miracolo? Cosa stiamo aspettando per intervenire e fare davvero manutenzione? La concorrenza e la competizione alzeranno sicuramente l’asticella della qualità dei progetti e così sarà anche per l’immobiliare. Ben vengano quindi gli investitori esteri, ma la nostra politica dovrà fare la sua parte. Non solo difendendo gli interessi del Paese, ma anche e soprattutto definendo un indirizzo urbanistico e di sviluppo territoriale.
Che dire poi degli Enti pubblici che sono tra i maggiori proprietari immobiliari? Con il mondo del lavoro che sta cambiando, con l’avanzata del lavoro agile, in che modo gli Enti pubblici valorizzeranno gli immobili di proprietà, che rischieranno di rimanere vuoti? Perché non pensare, per esempio, a riutilizzare la cubatura esistente per creare in Italia cittadelle cliniche come avviene a Dubai? Perché non pensare ad una nuova edilizia con zone destinate alla cura degli anziani? Addirittura, si potrebbero utilizzare queste superfici per realizzare e potenziare l’edilizia scolastica.
Ritengo inoltre, da cittadino, che Mario Draghi dovrebbe farci capire da subito quale sarà il futuro del nostro Paese, facendo lavorare di concerto i ministeri coinvolti. Ora in Italia è necessario fare tutto e subito. Quale sarà il nostro debito? Quali sono i programmi per la ripresa post-pandemica? Quanto ci sta costando questa pandemia? Bisogna fare ripartire il Paese. Per farlo è necessario guardare sia ad una maggiore scolarizzazione dei più giovani, ma anche ad una maggiore professionalizzazione dei lavoratori italiani.
Oggi manca manodopera italiana capace di lavorare nel settore agricolo e anche nel settore edile. Un patrimonio che potrebbe fare dell’Italia un grande esportatore di prodotti agricoli o di costruzioni. Spesso guardiamo fuori, senza sapere che l’Italia è una miniera di opportunità e di competenze. Serve coraggio e imprenditori capaci, oltre ad una politica capace di dettare la linea per riportare l’Italia nella posizione che merita. Il nostro nemico da battere è come sempre la burocrazia.
Continuiamo a sentire che andrà tutto bene. La pandemia sicuramente passerà, ma se non si cambia marcia il futuro dell’Italia e degli italiani sarà in mano agli stranieri.
Aggiornato il 08 aprile 2021 alle ore 12:22