“Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni” (articolo 336 del codice penale).
L’articolo 550 del codice di procedura penale, recita che “nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova”.
La messa in prova, un istituto già utilizzato in ambito minorile, subordinato alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, che ultimamente si sta cercando di estendere alle persone di maggiore età per rimediare ai ritardi nel sistema penale a causa del drafting normativo e al sovraffollamento carcerario, potrebbe non essere sempre una misura così efficace. Prendiamo ad esempio il recente caso del 55enne di una cittadina in provincia di Bari, con piccoli precedenti, che ha aggredito fisicamente e minacciato di morte un infermiere mentre accoglieva i pazienti nell’accettazione del Centro polifunzionale territoriale, un ambulatorio nel quale lavorano 21 persone fra medici, infermieri e collaboratori che alleggeriscono il carico dei pronto soccorso, limitando le attese dei pazienti.
L’uomo arrivato in accettazione, in presenza di altri pazienti ed accompagnatori, pretendeva di parlare subito col suo medico curante che stava visitando un altro paziente: non volendo attendere, si è scagliato contro l’operatore che si è visto schiaffeggiato, insultato e colpito ripetutamente. L’aggressore, evidentemente non ancora soddisfatto, ha poi rincarato la dose urlando più volte che lo avrebbe ammazzato. Stesse scene con il medico che, arrivato nel frattempo, si era frapposto fra i due. L’assalitore non si è fermato e ha continuato ad inveire, a minacciare e rompere le attrezzature anche dopo l’arrivo dei carabinieri, anch’essi aggrediti.
Una imputazione di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali con l’aggravante “di aver commesso i fatti in danno degli esercenti delle professioni sanitarie” così come previsto dalla recente legge, che dovrebbe tutelare medici e infermieri “nell’esercizio delle loro funzioni”, prevedendo varie misure sia sanzionatorie (penali ed amministrative) che educative e preventive, che non ha fermato l’avvocato difensore dal richiedere la sospensione della pena e la “messa in prova” per il suo assistito. Per cui verrebbe richiesta l’attività nei servizi sociali e, infine, il proscioglimento per estinzione del reato, se tale attività si concludesse con esito positivo.
Quindi, a cosa serve davvero la legge 5 agosto 2020 che dovrebbe salvaguardare il personale sanitario e ne dispone la tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro? Una legge ripetutamente richiesta e fortemente voluta dalle differenti categorie dei sanitari, che hanno avuto come maggior portavoce la Cisl Medici, cui hanno fatto eco anche altre federazioni sindacali. In particolare, la Cisl Medici nel Lazio non ha mai smesso di denunciare e urlare a gran voce la situazione, anche in tempo di Covid, degenerata a causa delle difficili condizioni in cui è stato ridotto il lavoro negli ospedali e negli ambulatori, impedendo ai professionisti della sanità di svolgerlo con serenità.
Sovraffollamento dei pronto soccorso, lunghe ed estenuanti liste d’attesa, carenza numerica del personale che si destreggia faticosamente con più turni consecutivi e pochissime soste per il riposo. E ancora i tagli che hanno azzoppato il Sistema sanitario nazionale, uno dei migliori al mondo, che arranca e si sostiene grazie al sacrificio e al talento dei nostri operatori sul campo, sono certamente una concausa di questi avvenimenti che sembrano essere fuori controllo ed hanno creato una sorta di sfiducia nel sistema stesso e nei confronti del camice bianco, unico capro espiatorio visibile contro cui scaricare rabbia e frustrazione. Ma anche il problema sociale della mancanza di rispetto per l’autorità, di buona creanza e del vivere nella legalità e nella pre-socialità, l’Abc della convivenza civile, che sono troppo carenti nella società in cui viviamo.
Se l’articolo 550 il codice di procedura penale sostiene al comma 1 che il pubblico ministero esercita l’azione penale con la citazione diretta a giudizio con la reclusione non superiore ad un massimo di quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla pena detentiva, anche quando si procede per i reati di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (prevista dall’articolo 336 del codice penale) e resistenza a un pubblico ufficiale (prevista dall'articolo 337 del codice penale), perché allora ostentare dispregio per quanto disposto dai Codici?
@vanessaseffer
Aggiornato il 30 marzo 2021 alle ore 11:54