Novanta giorni per salvare l’Inpgi

Tre mesi per salvare la previdenza dei giornalisti. La lettera-appello al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stata firma da circa 2.300 professionisti in attività e in pensione.

Hanno aderito all’iniziativa del comitatoSalviamo la previdenza” promosso da Mario Antonini, Stefania Conti, Alessandra Spitz, Carlo Chianura quasi tutti i nomi del giornalismo italiano da Lucia Annunziata a Ferruccio de Bortoli, da Stefano Folli a Massimo Franco, da Ernesto Auci a Antonio Padellaro, da Vittorio Messori a Massimo Martinelli, da Gianni Letta a Marco Travaglio, da Ottorino Gurgo a Bruno Socillo, da Paolo Graldi a Dino Boffo. E si potrebbe continuare.

L’obiettivo è scongiurare il commissario che è dietro l’angolo qualora non vengano adottate, entro il 30 giugno, misure strutturali per far fronte all’ultimo bilancio in rosso di 253 milioni e all’equilibrio futuro tra entrate e uscite. La nomina di un commissario straordinario porterebbe a percorrere l’unica strada possibile: la confluenza dell’Inpgi nell’Inps.

La crisi del governo Conte bis ha bloccato il dossier Inpgi, fermo sul tavolo dei ministri del Lavoro e dell’Economia dal 22 dicembre 2020. C’è comunque un dato su cui il comitato conta: a Palazzo Chigi si conoscono bene tutte le questioni legate alla sorte dell’Istituto di previdenza dei giornalisti. Capo di gabinetto del presidente del Consiglio Mario Draghi è stato nominato il manager della Pubblica amministrazione, Antonio Funiciello che era nel Consiglio di amministrazione dell’istituto di via Nizza in rappresentanza del controllo governativo. A cui si aggiunge il Sottosegretario con delega all’editoria, Giuseppe Moles.

Il problema è sempre lo stesso da tempo: trovare i fondi per rimborsare l’istituto delle somme che spende per i prepensionamenti, la disoccupazione, la cassa integrazione, i contributi figurativi per i giornalisti che vengono eletti in Parlamento, nelle Regioni e negli altri Enti locali che hanno diritto al mantenimento del posto di lavoro e, quindi, alla quota di anzianità per la pensione. Per tali oneri, dalle casse dell’istituto sono usciti circa 500 milioni negli ultimi 10 anni, anche per alcuni provvedimenti politici che hanno favorito gli editori.

Una boccata d’ossigeno in realtà sarebbe stata trovata per il 2021 ma è il futuro che preoccupa. La tesi portata avanti dalla presidente, Marina Macelloni, sull’ingresso nell’Inpgi dei cosiddetti “comunicatori” pubblici e privati non trova accoglienza favorevole e inoltre sarebbe una soluzione riduttiva. I “comunicatori” dipendenti da imprese private sarebbero circa 8.500 ma anche fermamente dichiarano di non voler passare all’Inpgi; quelli delle imprese pubbliche non superano le 5.500 unità.

Altro discorso è quello che fa una parte consistente del sindacato: promuovere una massiccia campagna di recupero dei contributi attraverso il controllo di quanti svolgono effettivamente la professione giornalistica e per i quali non sono pagati i contributi all’Inpgi. Non è solo il caso dei precari e dei freelance ma di tutti i commentatori televisivi sportivi e conduttori di programmi, che si trincerano dietro partite Iva e contratti da autori.

Chi esercita la professione giornalistica deve avere il contratto della categoria, anche se lavora nelle migliaia di aziende italiane pubbliche e private, negli uffici stampa di Camera, Senato (ha fatto discutere il recente bando per assegnare ad una ditta esterna la rassegna stampa quotidiana), Regioni, Comuni, Enti a capitale pubblico, Banche, strutture sanitarie, Enti parchi e fieristici.

Aggiornato il 18 marzo 2021 alle ore 09:43