
In questi giorni chi si appresta ad entrare nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma viene accolto da un manifesto pubblicitario affisso sulla facciata in restauro che raffigura il noto giocatore Francesco Totti in posa sacrale con frase sovrastante “Speravo de morì prima”.
Santa Maria degli Angeli, cui misero mano Michelangelo e Vanvitelli, scrigno di tele di Domenichino, Maratti, Romanelli, Pomarancio è quindi abbellita da un’altra opera ad ambizione divina.
Non si vuole infierire sul soggetto rappresentato che non solo è un indiscusso campione ma è conosciuto anche per essere dedito a silente beneficienza e, più in genere, a chi è in difficoltà. Neppure si vuole colpevolizzare il povero parroco, noto per il suo impegno nell’assistenza agli indigenti che vivono attorno alla vicina stazione Termini. Un luogo di culto però rimane un luogo di culto la cui sacralità non può essere miscelata con immagini a contenuto totalmente dissonante dal contorno.
La Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri è peraltro la chiesa dove si svolgono le cerimonie di Stato, ultima in ordine di tempo il funerale solenne dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci. La raffigurazione calcistica con quel “speravo de morì prima” non si sarebbe ben conciliata con i riti solenni delle esequie, la frase in particolare.
La colpa non è attribuibile però alle gerarchie ecclesiastiche, perlomeno in via principale. La Basilica in questione non è tra quelle che pur in territorio italiano godono dell’extraterritorialità vaticana ma è di proprietà dello Stato, il quale deve curarne manutenzione e restauro mediante il Fondo edifici di culto (Fec) allocato presso il Ministero dell’Interno. Ente giuridico amministrato e gestito con le modalità di un fondo patrimoniale dello Stato, provvede ai restauri in collaborazione con il Ministero dei Beni e le Attività culturali, in questo caso la Sovrintendenza di Roma, finanziando direttamente o tramite sponsorizzazioni.
Non sempre le risorse sono commisurate alle esigenze, pertanto il ricorso alle sponsorizzazioni sono d’obbligo ma una certa sobrietà dovrebbe essere tenuta a conto per escludere le immagini pubblicitarie meno compatibili.
Tempo fa un Comando Carabinieri in procinto di eseguire un restauro impegnativo rifiutò un vantaggiosissimo sponsor che imponeva di esporre sulla facciata principale una réclame di reggiseni ritenuta poco consona con una sede istituzionale.
Non importa se il codice di diritto canonico rilasci alla Chiesa cattolica qualche competenza in materia di regole liturgiche da legare alle caratteristiche che l’edificio deve rispettare, però regole di bon ton da collimare tra l’ordinamento statale e quello pastorale dovrebbero evitare tali eccessi pubblicitari.
Speriamo che nel futuro entrando in una chiesa non si abbia più l’impressione di entrare in uno stadio roboante. E speriamo soprattutto che l’immagine venga rimossa al più presto nell’edificio che più rappresenta la sintesi tra solennità liturgica e cerimoniale di Stato.
Aggiornato il 15 marzo 2021 alle ore 10:26