E se l’otto marzo fosse ormai una dissonanza cognitiva? Ci avete mai pensato?

Baluardo vetero-femminista del secolo scorso, senza scomodare i soliti aneddoti e i soliti personaggi, letterati e filosofi che si tirano fuori dalla naftalina solo l’otto marzo, questa festa aveva origini e motivazioni nobili in un’epoca pre-industriale o industriale, pre e postbellica, dove le donne venivano utilizzate come manovalanza sottopagata in fabbriche disumane al limite del romanzesco.

È certo una fortuna che quegli ambienti e quelle condizioni bestiali non esistano più, perlomeno in Occidente o in quello sviluppato quantomeno, grazie alle battaglie fatte dalle donne, ma quel diritto ad essere riconosciuta portatrice di uguali diritti in quanto donna, in quanto femmina, intesa come non inferiore al maschio dominante nella società quanto può essere ancora attuale inteso in quel modo vittimistico e anacronistico?

La società mondiale va verso il riconoscimento di diritti “gender free” a prescindere dal sesso biologico di appartenenza natia, inutile negare la battaglia che il politically correct ha fatto, vincendo, nelle teste di molti, e grazie a certe esagerazioni mediatiche sono saliti alla ribalta altri diritti dell’individuo, come quello alla sessualità e all’identità sessuale a prescindere dal sesso biologico di nascita. Che senso ha, a meno di non appartenere ad una setta religiosa con canoni immutabili e un diritto naturale dogmatico e indiscutibile, continuare a mettere un recinto sotto forma di “festa” per festeggiare la differenza se invece quello che si vuole raggiungere o significare è l’uguaglianza?

La festa della donna è diventata di fatto una festa schizofrenica, dove il recinto di tutela è diventato a suo modo un ghetto, perché non serve un giorno dedicato alla donna, serve un giorno dedicato all’uguaglianza, è l’uguaglianza che va ripensata.

Dovremmo forse intendere il concetto di uguaglianza sempre più nel senso di pari opportunità più che come uguaglianza di genere, laddove due generi – o tre o diecimila – non saranno mai uguali, perché la biologia come la matematica è una scienza, non saranno mai uguali due dna figuriamoci due persone intere di questo o quel sesso. Eppure la farmacologia mondiale è ancora tarata su parametri maschili, come quasi tutto il resto, fatte salve aberranti pubblicità di prodotti per l’igiene intima femminile e similari (che a quanto pare l’igiene intima maschile per il mercato è un optional).

Siamo tutti diversi ma abbiamo un parterre di diritti e opportunità pensati in funzione del genere e non del benessere psicofisico dell’individuo. La vera uguaglianza sarebbe poter permettere – e a chiunque – di avere lo stesso trattamento anche partendo da caratteristiche diverse, da generi diversi – dove un congedo mestruale retribuito non può essere una concessione normativa ma dovrebbe essere l’ovvio già inserito da decenni nelle leggi e nei costumi senza doversene vergognare o sentircisi fare sopra dell’ironia. Che ironia si può fare se una banana non è un caco e una pera non è una mela? Essere donna poi è ormai un concetto amplissimo che ricomprende anche i diritti di identità emozionale delle persone transgender, si può essere contro a prescindere, in quanto irriducibili conservatori o peggio, ma se non si vuole creare una società di recinti e compartimenti è da una prospettiva più alta che si dovrebbe ripensare interamente la festa della donna. E magari abolirla in favore di una festa dell’uguaglianza. L’articolo 3 della nostra Costituzione dice questo, tutelare l’uguaglianza nella differenza, ma i più non capiscono che la mimosa oggi è ancora un simbolo di differenza, non di uguaglianza, forse di un percorso verso la pari dignità morale e sociale della donna ma la si accetta solo per cortesia.

Forse sarebbe preferibile non averlo un giorno per festeggiare il semplice fatto di essere noi stesse, oggi come oggi sottolineare l’ovvio è più discriminatorio della discriminazione in sé. Se volete festeggiare una persona, che sia donna o uomo o altro, datele pari dignità e pari opportunità, tutto il resto è noia. Ma, noia-noia-noia.

Aggiornato il 08 marzo 2021 alle ore 11:27