“La credenza che la Shoah non abbia mai avuto luogo vede il picco di intervistati “molto” d’accordo tra chi si riconosce politicamente nel Movimento 5 Stelle (8,2 per cento), concordi complessivamente nel 18,2 per cento dei casi; la più alta percentuale di soggetti concordi (abbastanza o molto) si registra però tra gli elettori di centrosinistra (23,5 per cento). I revisionisti risultano più numerosi della media a sinistra – per il 23,3 per cento l’Olocausto degli ebrei è avvenuto realmente, ma ha prodotto meno vittime di quanto si afferma di solito – ed al centro (23 per cento), meno a destra (8,8 per cento)”: così l’AdnKronos il 30 gennaio 2020 dava notizia dei risultati emersi dal “Rapporto Italia” 2020 dell’Eurispes.
Insomma, l’anno scorso, poco prima dell’inizio della pandemia, cioè di quel periodo di vasto utilizzo del termine “negazionismo”, l’Eurispes rivelava che la maggior quantità di negazionisti della Shoah si trova, controintuitivamente, nell’elettorato di centrosinistra. Questi dati, tuttavia, proprio alla luce delle risultanze della storia, non devono sorprendere se si considera che ogni anno le celebrazioni della Giornata della memoria sono afflitte da gravi forme di amnesia, che sistematicamente tralasciano una parte della shoah o quella che, sostanzialmente espunta dal pubblico dibattito, si può definire come “l’altra Shoah”. L’altra shoah non è costituita dai tragici fatti anti-umani che altri regimi, oltre quello nazista, hanno messo in essere creando altri milioni di vittime, su cui comunque prima o poi la pubblica opinione dovrebbe cominciare a riflettere, ma è costituita da quelle centinaia di migliaia di vittime del popolo ebraico trucidate dal regime sovietico e su cui – specialmente in Italia – si tace da sempre. Per il regime sovietico, infatti, il popolo ebreo costituì un nemico da piegare al volere dello Stato per almeno tre motivi principali. In primo luogo: in quanto le comunità ebraiche costituivano in virtù del proprio credo religioso un ostacolo (come del resto gli ortodossi e i cattolici) per la propagazione di quell’ateismo scientifico, inteso quale strumento imprescindibile per l’instaurazione del socialismo reale. In secondo luogo: in quanto le comunità ebraiche costituivano in virtù del proprio forte radicamento etnico-culturale un ostacolo alla creazione della società socialista senza classi e senza nazionalità. In terzo luogo: in quanto le comunità ebraiche, in virtù della propria storica posizione sociale, venivano spesso identificate con quella classe media ricca e borghese che rappresentava il nemico principale della causa socialista in genere e sovietica in particolare. In questa prospettiva, gli storici hanno stimato che nelle purghe staliniane siano stati coinvolti almeno 600mila ebrei, fino a ritenere che tra tutte le nazionalità sovietiche colpite dalle deportazioni e dalle esecuzioni staliniane, e che causarono circa dieci milioni di vittime, in percentuale quella ebraica fu la più colpita.
Proprio mentre la Germania nazista varava le leggi razziali e cominciava la sua anti-umana opera di segregazione e sterminio del popolo ebraico, contemporaneamente l’Unione Sovietica conduceva un silenzioso e parallelo piano di persecuzione anti-ebraica sulla base delle decisioni sostanzialmente antisemite di Stalin. Lo storico ebreo Yitzhak Arad, infatti, ha evidenziato che come nella maggior parte delle altre questioni in Unione Sovietica, è stato Stalin a decidere gli atteggiamenti ufficiali sovietici riguardo all’annientamento degli ebrei in Europa, specialmente di quelli dei territori sovietici occupati. Questi atteggiamenti erano influenzati, in misura non piccola, dai sentimenti antisemiti di Stalin che non apprezzava la vita umana, tanto da non avere scrupoli nel giustiziare anche le persone che gli erano più vicine, compresi i membri della sua famiglia. Per Stalin, dunque, la persecuzione e l’omicidio di massa di ebrei da parte della Germania nazista non suscitavano alcun particolare sentimento umanitario. Inoltre, ha notato sempre Arad, la posizione ufficiale sovietica sulle persecuzioni antiebraiche e l’Olocausto fu influenzata da considerazioni di ordine politico, essendo inizialmente positive le relazioni generali tra Unione Sovietica e Germania nazista. Tuttavia, la persecuzione sovietica anti-ebraica non ebbe fine con l’inizio del Secondo conflitto mondiale e il conseguente deteriorarsi dei rapporti tra Germania e Urss dopo l’operazione Barbarossa dell’estate del 1941, poiché durante gli anni della guerra il regime sovietico mobilitò ogni propria energia e risorsa per epurare il mondo della cultura, della scienza, della giustizia, dell’industria, dell’esercito dalla presenza di membri ebraici al loro interno.
Anche dopo la fine della guerra, il regime sovietico proseguì nei pogrom anti-ebraici tanto che, come ricorda la storica Elena Zubkova, nel 1949 fu dato inizio ad epurazioni fra il personale di tutte le istituzioni statali, delle organizzazioni scientifiche e delle redazioni dei giornali, tanto che tutti gli ebrei furono espulsi perfino dal ministero per la Sicurezza Statale. Nell’estate del 1952, inoltre, fu portata a termine l’inchiesta sul Comitato antifascista ebraico e, fra maggio e luglio, ebbe luogo il processo ai suoi membri: tutti gli accusati furono condannati alla fucilazione. Questo caso condusse all’epurazione di 110 persone. Questa serie di purghe antisemite non esaurì tuttavia la persecuzione degli ebrei. Lo storico Thierry Wolton, infatti, ha ricordato che per gli ebrei dell’Urss la fine del Secondo conflitto mondiale non ha portato né pace né sicurezza. L’antisemitismo di Stato, che esitava ancora a dichiararsi in modo esplicito prima della guerra, diventò una politica quasi ufficiale alla fine degli anni Quaranta del XX secolo. Nel 1957, infatti, perfino dopo 4 anni la morte di Stalin, il potere sovietico lanciò una grande campagna contro il cosiddetto “parassitismo” che prese di mira gli alcolisti, i criminali e gli speculatori. La stragrande maggioranza dei condannati di questa campagna fu di origine ebraica, tanto che nei manuali di storia antica venne rimossa qualsiasi allusione alla Giudea, al popolo ebraico, alla religione e alla Bibbia. Sperando di cancellare gli ebrei del passato il regime sovietico sperava che sparissero anche quelli del presente, tanto da arrivare a chiudere d’autorità ben 340 sinagoghe in tutta la Russia sovietica.
Insomma, se la Giornata della memoria intendesse essere davvero autentica, non si potrebbero e dovrebbero tollerare ancora tutti quei silenzi, quelle omissioni e quelle negazioni volte a celare o sminuire la pesante ipoteca morale e storica che pesa su quella parte della sinistra, che per decenni ha tentato di nascondere l’antisemitismo sovietico e l’altra (dimenticata) Shoah.
Aggiornato il 28 gennaio 2021 alle ore 08:22