Il rischio agonia è dietro l’angolo. C’è tempo fino a giugno per trovare le soluzioni per salvare l’Istituto di previdenza dei giornalisti. Sono già oltre mille le firme che hanno sottoscritto l’appello al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per salvare l’Inpgi. Nel giugno del 2019 il Governo aveva sollecitato i vertici di via Nizza di adottare misure per il riequilibrio della gestione entro 12 mesi. Saltato questo termine non è stato presentato il bilancio tecnico-attuariale.
In questa maniera si avvicina il commissario, anche perché il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non è andato nel corso della conferenza stampa di fine anno oltre all’indicazione dell’ingresso dei “comunicatori” nella platea dei contribuenti. Ipotesi caldeggiata dalla presidente, Marcella Macelloni e dalla sua maggioranza. C’è, però, un ostacolo, quasi insormontabile. I cosiddetti “comunicatori” (categoria ben diversa dai giornalisti) che sarebbero circa 14mila non ci stanno a passare dall’Inps all’Inpgi. Non ritengono conveniente, per loro, abbandonare il loro sistema previdenziale in attesa che venga rinnovato il contratto del pubblico impiego.
Adesso che la legge di Bilancio ha prorogato la nomina di un commissario cosa può fare l’Inpgi? Con una situazione fortemente deteriorata (in cui a ogni pensione corrisponde appena 1,5 lavoratori attivi mentre il rapporto dovrebbe essere tre attivi un pensionato) gli sforzi per una manovra di risanamento sono gravosi. Anzi il piano che circola chiamato di “lacrime e sangue” appare sconcertante e irrealizzabile. Lo squilibrio del bilancio è sotto gli occhi di tutti, come gli errori commessi a partire dal 2011 dall’attuale maggioranza omologa a quella di sinistra che con Giuseppe Giulietti presidente governa da decenni la Federazione della stampa.
I dati sono sul tavolo: le spese per pagare le pensioni di un anno raggiungono i 576,6 milioni a fronte di 372 milioni di entrate. La differenza è di 204,6 milioni. È questo il disavanzo della gestione previdenziale e assistenziale dell’Istituto previsto per il 2021. Il primo anno in cui la gestione andò in rosso fu nel 2011, appena poco più di un milione e 300mila euro. Nel 2008 c’era un saldo attivo di 97 milioni. Errori dopo errori è iniziata la vendita del patrimonio immobiliare che era stato rafforzato dalla gestione di Guglielmo Moretti. Ci vorrebbe un’inchiesta, osserva l’ex direttore del Messaggero, Vittorio Emiliani. Il calo dell’occupazione nell’editoria (favorita dalla liberalizzazione degli stati di crisi aziendali senza che il sindacato abbia saputo opporre agli editori alternative ai prepensionamenti), le plusvalenze immobiliari fittizie hanno fatto accumulare rosso su rosso.
È subentrato il panico. I tavoli tra cda dell’istituto e il responsabile di palazzo Chigi dell’editoria il sottosegretario, Andrea Martella non hanno portato ad individuare un percorso idoneo a portare fuori dalla crisi un istituto che viene considerato baluardo della libertà e dell’indipendenza dell’informazione. Da un punto di vista matematico, l’equilibrio tra spese ed entrate potrebbe essere raggiunto in due modi: tagliando i costi del 35 per cento oppure aumentando le entrate del 55 per cento. Operazioni difficili. I pensionati Inpgi hanno già contribuito con il versamento del contributo di solidarietà triennale. Sarebbe incostituzionale ripetere questa misura. Con la crisi economica in corso (e quindi con il crollo degli introiti della pubblicità) non è immaginabile un aumento dei contributi da parte delle aziende editoriali e dei circa 15mila giornalisti in servizio.
Aggiornato il 12 gennaio 2021 alle ore 10:06