“Si tratta di un insieme di affermazioni nelle quali si contesta o si nega la realtà del genocidio sistematico degli ebrei perpetrato dai nazisti, e dai loro complici, nel corso della seconda guerra mondiale”: così il più noto studioso italiano del negazionismo, Claudio Vercelli, definisce il fenomeno in oggetto. Il concetto, dunque, trova la sua origine nell’ambito storiografico, e prevalentemente si è diffuso per identificare quelle teorie volte a negare l’esistenza dello sterminio anti-ebraico, come avvenuto ad opera di alcuni autori, per esempio David Irving, più o meno conosciuti ai lettori di storia del novecento. Il concetto di negazionismo, tuttavia, si è sempre caratterizzato per una sua scarsa elasticità, così che nello stesso campo storiografico si è sempre incontrata una certa forma di ritrosia ad espandere il suo utilizzo ben oltre le drammatiche vicende della Shoah, nonostante alcune tragiche pagine della storia in genere e di quella del XX secolo in particolare siano state spesso, per lo più per motivazioni di carattere ideologico, oggetto di negazione da parte di molti autori che hanno volentieri omesso, negato, rimodulato tragici fatti pur comunque accaduti. In questo senso, per esempio tra i possibili, Piero Melograni aveva svelato alcune “bugie della storia”, cioè di quella parte della recente storiografia che è stata dominata dagli storici di sinistra ovviamente poco interessati a svelare le spiacevoli verità riguardanti la loro parte politica. Ecco perché si è sempre saputo poco, e comunque tardi, di tanti terribili avvenimenti del recente passato che sono stati spesso omessi dal racconto storico sia nelle scuole che a livello accademico.
In tale direzione si può ricordare la grande carestia in Ucraina degli anni Trenta provocata dalle politiche economiche bolsceviche; l’esistenza e il contenuto del patto di non aggressione tra Germania nazista e Unione Sovietica del 1939; le persecuzioni anti-ebraiche messe in essere dai sovietici; la strage delle fosse di Katyn; la pulizia etnica delle foibe; la persecuzione anti-italiana culminata con l’esodo istriano; l’esistenza e la sostanza dei gulag di Iosif Stalin, Mao Zedong, Pol Pot; la legittimità della rivoluzione ungherese dell’autunno del 1956; la legittimità della primavera di Praga del 1968; le persecuzioni anti-cristiane da parte della resistenza italiana e dei Governi dei Paesi del blocco del Patto di Varsavia; e tanto altro ancora. Nonostante ciò, ancora oggi, il termine fatica ad affermarsi oltre la vicenda dell’olocausto, sebbene negli ultimi tempi, con il diffondersi della pandemia del Coronavirus, ha trovato un inedito e repentino espansionismo, facendo addirittura un salto di disciplina e transitando dall’ambito storiografico a quello sanitario.
In questa seconda accezione, che pur di moda nell’irriflessivo gergo mediatico è incorsa nella puntuale e affilata critica di chi, invece, la riflessione pratica per mestiere e vocazione come Giorgio Agamben il quale ha giustamente definito il suddetto salto semantico come un vero e proprio “abuso terminologico”, il negazionismo è qualcosa di sostanzialmente vago e indefinito. Si accusa di negazionismo, infatti, sia chi nega l’esistenza del Coronavirus, sia chi nega l’origine naturale del Coronavirus, sia chi nega non tanto l’esistenza del virus in sé considerato, quanto l’alto tasso della sua mortalità, sia chi nega che esista una emergenza pandemica in corso. Come se ciò non fosse sufficiente, ancor più di recente, il concetto di negazionismo ha subito una ulteriore estensione, venendo applicato anche a chi non tanto nega l’efficacia dei vaccini anti-Covid, quanto piuttosto esprime dubbi e perplessità, anche se metodologicamente corretti, intorno alla sicurezza di lungo periodo degli stessi, o anche a chi reputa che la tutela della salute individuale e collettiva contro il Coronavirus non possa causare la compressione o, addirittura, la soppressione temporalmente indefinita di altri principi e diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti, come il diritto di parola o di critica, la libertà di pensiero e di coscienza, la libertà di circolazione, l’iniziativa economica privata, la separazione dei poteri, la sovranità del Parlamento e così via.
Il negazionismo, insomma, oramai lontano dalla sua originaria formulazione, è divenuto ben altro, qualcosa di diverso, cioè uno strumento del pensiero “pandemisticamente corretto”, che, come tale, non ammette il dissenso, né come merito né come metodo, prestandosi alla più radicale negazione, cioè quella del libero pensiero in quanto tale. A questo punto sarebbe opportuno chiedersi se esista o meno una differenza tra la pandemia, come dimensione biologica e medica, e l’uso politico della stessa, come dimensione di puro controllo sociale, e se, eventualmente, chi dovesse negare l’esistenza di una tale distinzione fosse passibile, per le ironie dei ricorsi storici, di essere accusato a sua volta di negazionismo.
Aggiornato il 08 gennaio 2021 alle ore 12:35