
Sotto l’albero di Natale per i giornalisti non ci sarà il commissario come già avvenuto invece per i poligrafici del Fondo Casella da parte della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione). Non c’è, però, molto da gioire perché la situazione di grave malato dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani) fa prevedere anni di grandi sacrifici. Anzi i tempi sono molto stretti per evitare il baratro dei conti che a fine anno sono in profondo rosso: dopo il disavanzo di 253 milioni del 2019, il bilancio chiude con altri 250 milioni di deficit. “Si tratta di una corsa contro il tempo – precisa in un appello il sindaco dell’Istituto, Pierluigi Roesler Franz – prima che il Governo decida d’intervenire, sulla base di una legge del 1994, insediando un commissario con successivo passaggio all’Inps ma senza adeguate garanzie”. Non molti si rendono conto della gravità per il futuro dell’informazione e quindi della democrazia del venir meno di “un sistema previdenziale che mantenga, come osservato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, giornalisti super partes, autonomi e indipendenti”.
L’Istituto Giovanni Amendola è un Ente previdenziale incaricato di pubbliche funzioni in base all’articolo 38 della Costituzione e privatizzato come Fondazione dal 1994 ma che è nato nel 1926 ed è l’unico ente sostitutivo dell’Inps in base alla legge Rubinacci 1564 del 1951 tuttora in vigore da quasi 70 anni. Il termine per il commissariamento scade il 31 dicembre ma un emendamento alla Legge di bilancio fa prorogare la scadenza a fine aprile 2021. L’allarme rosso è stato lanciato da mesi dai consiglieri di minoranza e da un appello di Franz ai direttori ed ex direttori di quotidiani, radio, agenzia di stampa, tv e media on-line. La realtà mostra che l’Inpgi 1 perde 550mila euro al giorno e chiuderà il bilancio con circa 250 milioni di euro (tradotto in vecchie lire siamo a 500 miliardi), nonostante l’apporto del tesoretto di 65 milioni di euro che era stato accumulato con il contributo determinante dei giornalisti pensionati (taglio triennale dal primo marzo 2017 al 29 febbraio 2020) e il blocco da 9 nove della rivalutazione delle pensioni.
L’ente si trova in lenta e graduale crisi, quasi una lenta agonia anche per lo svuotamento delle redazioni giornalistiche di quotidiani, periodici, agenzie di stampa per effetto dei prepensionamenti a catena consentiti dal decreto Sacconi del 2009, con conseguente riduzione di giornalisti assunti a tempo indeterminato, sostituiti da lavoratori autonomi con versamento dei contributi all’Inpgi 2, che presenta ora un bilancio in attivo di 35 milioni. Dalle attente analisi sui conti elaborate da Pierluigi Franz, risulta che dal 2011 per pagare puntualmente e far fronte contemporaneamente agli ammortizzatori sociali della categoria caricati all’Inpgi ha dovuto intaccare il suo patrimonio per 1 miliardo e 200 milioni disinvestendo titoli, fondi e immobili. Perché questo? I conti sono certificati dalle spese per fronteggiare gli stati di disoccupazione, cassa integrazione, contratti di solidarietà, Tfr in caso di fallimenti, prepensionamenti da aziende in crisi, mancati recuperi da aziende fallite, contributi figurativi da corrispondere da parte dell’istituto sulla base dell’articolo 31 dello statuto dei lavoratori sulle pensioni dei giornalisti eletti deputati, senatori, parlamentari europei, governatori e consiglieri regionali, sindaci di grandi città. A pagare la crisi è stato sempre l’Inpgi. Serve allora trovare con urgenza una soluzione dopo il fallimento dell’allargamento ai “comunicatori” che non vogliono lasciare l’Inps. Le proposte del ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, non promettono bene.
Aggiornato il 21 dicembre 2020 alle ore 09:38