O mia bela cocaina

Lei si definisce ragazza-immagine, e ora che Alberto Genovese è nei guai per uno (uno!) stupro, qualcuno comincia a raccontare di lusso e violenze, jet privati e quindicimila euro offerti per un rapporto che i vecchi definivano “contro natura”, gli antichi no. Come da copione, parla di due o tre giovanissime nude nel letto di un prete, al quale lei, ragazza-immagine (dunque diversa da quelle sul talamo) avrebbe chiesto conto dell’orgetta: disse che voleva fare un’escursione nel mondo del peccato. Certo, per poter meglio capire quelli che in confessione ammettono di aver desiderato col pensiero la donna d’altri.

Ragazze nude ovunque, a Milano, Roma, in Sardegna (nuraghi esclusi), cocaina libera in vassoi, intendendo per vassoi anche diverse pudenda, in questo caso, forse di ragazze-stoviglia. Nel racconto, come sempre, c’è quello che tutti immaginavano. Dopo averlo letto, naturalmente. Ma colpisce il rapporto della non necessariamente pentita, con la madre, alla quale forniva gli indirizzi degli appartamenti dove si recava nascondendo nel reggiseno o negli slip un cellulare di riserva, visto che l’altro veniva ritirato all’ingresso. “Se non rispondo in tempo ai messaggi, chiama la polizia”. La signora era dunque tranquilla, quelle della figlia erano frequentazioni sicure. Elenchi infiniti di magnati, porporati, professionisti. Nell’attico di piazza Beltrade privacy armata, per tutelare, ad esempio, dentisti che la mattina curavano i molari a ragazze diciottenni e la sera intrattenevano loro coetanee non necessariamente cariate.

Prime testimonianze, poi inizia un timido me too formato Madonnina: spuntano altre accuse di violenze, l’ultima a Ibiza. Mentre i soliti parassiti, quelli che si cibano di avanzi, fanno di tutto per sparire e si chiedono se “mai sentito nominare” sia eccessivo. E, come previsto, emergono agenzie di modelle come paravento, e poi ammucchiate di ogni genere ovunque, vicini di casa picchiati dai gorilla perché protestavano per il rumore, Roberto Bolle che non dorme e chiama la polizia, ragazze minacciate perché non denuncino. Niente di nuovo, e la storia si ripeterà quando qualcun altro commetterà un’imprudenza, per quel vizietto di credersi onnipotenti.

Ma il buon nome dell’Italia non barcolla per queste cose. Ne parla solo la cronachetta delle pruderie. L’importante è che non si tocchino i simboli, la sostanza non conta. Che nessun arbitro dica “nero”, che genitore uno e due sanciscano la parità, che non si scriva che una donna amava il marito, perché questo è sottomissione. Per i politicamente corretti è l’immagine che conta, e contro la violenza alle donne basta indossare scarpe rosse, come ha fatto Chiara Ferragni andando a ritirare l’Ambrogino d’oro. 

Aggiornato il 14 dicembre 2020 alle ore 18:19