La grande riforma dei risarcimenti, la nuova legge sulla corruzione

Sarebbe facile sedare la foga accusatoria poliziesca e giudiziaria. Basterebbe infatti (basterà: va fatto) istituire il sistema in uso ad esempio in un Paese che, in ambito giuridico, rispetto all’Italia, ex culla del diritto, è l’ultimo arrivato: l’Australia (ma non è certo l’unico in cui quel sistema viga). Basterebbe cioè anche in Italia una norma in virtù della quale, nelle cause penali, il giudice, nel pronunciare la sentenza di assoluzione, condanni, se ricorrono gli estremi, alle spese processuali e al risarcimento danni e/o a degli indennizzi l’Ente datore di lavoro dell’accusatore (il prosecutor, ovvero il poliziotto, il pm o chiunque sia). Spese processuali che, dinanzi alle magistrature superiori, sono lì sovente di centinaia di migliaia di dollari.

Ma non andrà così perché anche in Italia si giungerà ai sistemi civili, ma attraverso percorsi di grande tortuosità, quali ad esempio l’incredibile nuova norma sulla corruzione, di cui nessuno si è ancora accorto perché la Corte costituzionale ha deciso si applichi solo alle corruzioni successive alla legge, che ha un anno e mezzo, per cui i processi sono ancora in corso. Norma incredibile, perché – nel mentre il vero, unico modo per normalizzare l’Italia e abolire la corruzione è una fortissima velocizzazione della giustizia civile (le cause civili devono durare da un giorno a non più di tre mesi, ed è facilissimo realizzarlo) da attuarsi attraverso alcune strategie ed il ripristino e il rafforzamento della ormai quasi abrogata legge Pinto – si è invece istituita questa norma che, nel fissare per la corruzione un minimo e un massimo di pena che quasi “si baciano”, cioè sei anni il minimo e otto il massimo, ha stabilito che la condanna va necessariamente scontata in carcere fino all’ultimo giorno. Salvo l’imputato si penta e “canti” efficacemente. Caso in cui il carcere lo evita addirittura. Norma che, se qualcuno non si accorge del rischio e la abroga, avrà effetti tragicomici, e che ha il suo presupposto in quella natura estremisticamente moralistica degli italiani in virtù della quale molti e molte, pur nel mentre intascano il “regalino” o si sollevano dall’alcova, non si avvedono di sé e chiamano corrotti e fedifraghe gli altri. Fin quando tutti, con travolgenti effetti a catena, cominceranno a “cantare” e moltissimi allora si vedranno d’un tratto per quel che sono e ricorderanno che gli scheletri negli armadi li hanno anche loro.

Il vigente moralismo giustizialista ha in pratica partorito l’istituzione per legge – quindi a livello nazionale ed in maniera generalizzata – di ciò che “Mani pulite” realizzò di fatto in un ristretto ambito. Senza avvedersi che ad esplodere saranno per prime proprio le polizie e la magistratura. Perché quel regime di “solidarietà” tra loro che ne evitò il coinvolgimento nel 1992 è finito. E basterebbe pensare a cosa succederebbe se tra i capi di imputazione ad esempio di un Luca Palamara ci fosse anche la corruzione. Cose che esploderanno, ma forse si direbbe meglio esploderebbero, perché appena lo capiranno scatteranno i “correttivi” per evitarlo.

Aggiornato il 14 dicembre 2020 alle ore 11:35