C’era una volta l’informazione. Messa giù così sembrerebbe un po’ dura da digerire, sottintenderebbe il fatto che adesso, oggi, l’informazione non ci sia più. Ma non è esattamente così: c’è ancora ma è in coma, come il cinese del film di Carlo Verdone, giusto per rimanere in tema cinese. Sì, perché la Cina ha fatto ben più che avvicinarsi, ci ha inglobati, ci ha invasi, ci ha anche contagiati con un virus detto cinese – ma che non vuole che si chiami così – ma soprattutto il contagio più grave è stato quello mediatico: Covid Covid Covid, non si parla d’altro da mesi, da quasi un anno. Ovunque ti giri, su qualsiasi giornale, su qualsiasi canale a qualsiasi ora, l’unico argomento è la pandemia, tutto il resto è stato spazzato via, ridotto a spalla o a fondo o a elzeviro a pagina trecento. E il risultato di tutto questo qual è? Che il Covid, forse non ve ne siete accorti, oltre che un virus per il corpo è diventato soprattutto un virus per la mente, è diventato persino un fenomeno di costume, compresa la corsa alla confezione fashionista di mascherine di paillettes, lustrini e affini la cui efficacia sanitaria non è dato dimostrare.
Ma la cosa ben più grave è che la malattia ha cambiato non solo il modo di vivere ma anche quello di ragionare: inconsapevolmente, perlomeno i più, siamo diventati il più grande esperimento sociologico di massa mai tentato, metti qualche miliardo di persone alle prese con un nemico invisibile di cui non si conosce la cura, non parlare più di nient’altro e vediamo cosa succede. Succede che dottorini di solito accampati in ufficetti nel sottoscala di qualche oscuro policlinico, veterinari emigrati e accolti all’estero come nuovi Antonino Zichichi, zanzarologi, primari, secondari e gregari in camice di ogni genere e grado sono assurti a opinionisti affermati e spesso anche profumatamente pagati. Ma questo sarebbe il minimo, il massimo è l’ascesa di personaggi insulsi come Angela Chianello, la signora di Mondello proposti da programmi di intrattenimento trash che fatichiamo ad estirpare e che, paradossalmente, in questo momento di stanchezza esistenziale del mondo intero potrebbero anche sembrare delle oasi di leggerezza e di svago come il pancino di Chiara Ferragni o le incomprensibili pretese editoriali della signora Laura Boldrini. Potrebbero, ma non lo sono, sono lo specchio del problema di fondo: la pochezza intellettuale di chi decide cosa propinare al pubblico inerme che ormai da mesi si “beve” solo Covid a garganella e non riesce più a distinguere il bene dal male, le imposizioni strumentali al potere – e al mantenimento dello stesso, su scala nazionale ma anche globale – dalla libertà. E quindi gli omini e le donnine, i “medioman” di tutto il mondo con particolare attenzione a casa nostra dove dell’aurea mediocritas abbiamo fatto addirittura un requisito curriculare per ricoprire cariche parlamentari, minisiteriali, istituzionali, ormai sono tutti “Covid oriented”, parlano di Covid, pensano solo in termini di covid.
Ed ecco allora che andare a fare la spesa diventa un percorso a ostacoli per non infettarsi toccando questo o quello, non avvicinarsi troppo a qualcuno, chiedere gentilmente il distanziamento alle case, essere guardati come dei mostri se si starnutisce o semplicemente ci si soffia il naso, il circuito mentale è quello di un topo da laboratorio. L’argomento più in voga è “hai fatto il tampone, ho fatto il tampone, devo fare il tampone”, l’appiattimento delle vite e dei neuroni umani sul tampone, Cicerone avrebbe scritto il “De Tampone” perché la Repubblica è morta di Covid. C’è anche il risvolto “deviante”, quell’attitudine da fuorilegge di fare una bella pernacchia ai decreti di Giuseppe Conte e sfrecciare sul Raccordo anulare della Capitale ben oltre l’orario del coprifuoco, a quanto pare in massa, sono arrivati a farceli percepire come sbagliati ma, forse, semplicemente, hanno da fare una cosa che si chiama vivere che molti non si sono accorti che ci hanno tolto per legge a partire dalle sei del pomeriggio, come nei film della peggior fantascienza illiberale.
E poi, nelle case, tra amici, nelle chat di WhatsApp si rimandano incontri per via del Covid, si fanno solo videconferenze di lavoro, è diventato di moda dire di averlo avuto e di avercela fatta o raccontare di avere amici che non ce l’hanno fatta, il nuovo trend è dire di averlo avuto per evitare domande e paranoie altrui. Il risultato di tutto questo parlare solo e sempre, dovunque e continuamente di Covid, è che non si parla più del futuro, non si parla più nemmeno del presente che esula dal Covid. Insomma: l’esperimento è riuscito, l’umanità è stata soggiogata dal Covid ed è entrata nel tunnel del Covid–pensiero, come automi in fila che fanno tutto quello che gli si dice senza criticare e chi critica è un dissidente, chi vuole respirare e si abbassa un momento la mascherina è un carbonaro o un assassino, si merita i rimbrotti di medici e chirurghi che per anni le hanno indossate anche otto ore al giorno e sono sopravvissuti ai loro gas di sfiato. C’è insomma un contagio più subdolo di quello fisico, quello mentale, è la banalità del Covid, che ci ha resi tutti succubi di una informazione banale che ci vuole mediocri e banali anche nei discorsi quotidiani che fa sospettare un disegno di controllo del pensiero non percepito ma che esiste e fa male al pluralismo e all’intelligenza e soprattutto allo spirito. Il rischio è che il Covid finisca ma la banalità acquisita, il pensiero unico subliminale indotto, rimanga. Ma pericolo più grande è il controllo delle nostre teste, sarebbe forse ora di riaccendere l’interruttore. C’è vita oltre il Covid ma soprattutto c’è la nostra libertà e il nostro futuro, sarebbe ora di cominciare a parlare di quello.
Aggiornato il 30 novembre 2020 alle ore 11:52