
Sono passati quarant’anni dalla nascita di Canale 5 alle nuove misure europee sui media. Strumenti fondamentali due sentenze. Nel settembre 1980 fu la Corte costituzionale a stabilire la libertà d’esercizio delle reti televisive, abbattendo il monopolio Rai e consentendo lo sviluppo del modello della tv commerciale. È del settembre 2020 la sentenza della Corte di giustizia europea che abolisce il divieto dell’incrocio tra media e telecomunicazioni, per consentire di rimodulare il cosiddetto Sistema integrato delle comunicazioni (Sic), previsto dalla legge Gasparri. Tra questi due paletti giuridici si articola il passato e il futuro della tv. Era l’undici novembre 1980 quando la televisione a diffusione regionale TeleMilano si collegò con altre 23 emittenti per presentare su scala nazionale la seconda edizione dei “Sogni nel cassetto” presentata da Mike Bongiorno. La trasmissione era registrata e trasmessa in contemporanea grazie alla messa in onda di 23 cassette. La diretta arriverà solo più tardi. La tecnologia ha fatto passi da gigante. È cambiato tutto, il modo di produrre, di programmare, di commercializzare il prodotto. Restano da allora dominanti la pubblicità e gli acquisti di film e telenovele americane. Anche il servizio pubblico Rai sta cambiando con l’unico difetto di fondo di sempre: la lottizzazione e le nomine a pioggia. Il palinsesto è ingordo: l’acquisto dei diritti è frenetico, soprattutto per avere l’esclusiva degli avvenimenti sportivi che richiamano: calcio, Formula uno, basket, ciclismo, nuoto, sci, mondiali, Olimpiadi.
Il percorso di Mediaset è stato centrale in questi 40 anni di televisione fino allo scontro con il gruppo francese di Vincent Bolloré (patrimonio netto di 5,3 miliardi di dollari nel 2020) per la vendita di Premium play. È dal 2016 che va avanti sul piano economico-finanziario e su quello legale lo scontro partito dalla mancata cessione di Premium e il tentativo di scalata di Mediaset. I tasselli di questa contrapposizione sono stati ribaditi in varie sedi giudiziarie. I francesi insistono nel voler far contare per intero il suo 29,94 per cento di azioni, di cui il 19,19 congelato dopo il ricorso di Mediaset all’Agcom, accolto sulla base della legge Gasparri. La contromossa di Vivendi è stata quella di ricorrere alla Corte di giustizia Ue del Lussemburgo, la quale in pratica ha ritenuto non più applicabile il divieto. A questo punto subentra la necessità di adeguare le norme italiane a quelle dell’Unione europea, il cui principio fondamentale è la libera circolazione di beni e servizi. Vivendi può operare, può andare all’assalto.
Il Governo italiano preoccupato delle scalate dei gruppi stranieri su aziende tricolori (Vivendi è azionista di Telecom e in molte altre aziende italiane i vertici parlando francese come Jean Pierre Mustier a Unicredit, Philippe Donnet alle Generali, Patrick Cohen al gruppo Axa Italia, Jean Marc Bernier all’ex Parmalat, Marc Benayoun all’Edison) è ricorso ad un emendamento inserito nell’ultimo decreto legge Covid. Per molti lo scudo anti-scalate è stato visto come un soccorso a favore di Mediaset. Silvio Berlusconi si è nascosto dietro l’espressione “su Mediaset il Governo si è mosso in totale autonomia”, visto il corteggiamento del premier Giuseppe Conte e di esponenti della maggioranza nei confronti del leader di Forza Italia, disponibile a certe condizioni, di approvare il bilancio dello Stato. Un nuovo capitolo della vicenda il 16 dicembre, quando il Tar del Lazio si pronuncerà sul ricorso Vivendi contro l’ordinanza dell’Agcom.
Aggiornato il 17 novembre 2020 alle ore 11:27