
Un disastro. L’istituto di previdenza dei giornalisti (Inpgi) chiude il bilancio 2020 con un disavanzo di 253 milioni. Il peggiore di sempre. I conti vanno in rosso di anno in anno, passando dall’attivo di 9 milioni e 410mila euro del 2016 al passivo di 100 milioni e 613mila nel 2017. Il passivo sale di altri 61 milioni l’anno dopo per raggiungere i 171 milioni e 361mila euro nel 2019. Cosa sta succedendo all’istituto di previdenza? Sono ormai molti gli esperti che ritengono che di questo passo l’autonomia previdenziale finirà per i giornalisti costretti a passare anche loro nel calderone dell’Inps. Qualcuno ha anche ipotizzato un drastico taglio alle pensioni presenti e future, seppellendo qualsiasi riferimento alla sacralità del diritto che fin dai tempi dei romani vietava la cosiddetta “reformatio in peius”. Un’altra strada sulla quale confida il presidente, Marina Macelloni e la maggioranza del Consiglio generale (60 membri) è quella dell’allargamento della platea dei contribuenti, anticipando all’anno prossimo invece del 2023 l’ingresso dei cosiddetti “comunicatori”. Cosa significa, però, aprire le porte ad altri professionisti delle comunicazioni? È una falsa soluzione anche se è vero che il giornalismo oggi è sempre più fuori dalle redazioni e le vicende della pandemia da Coronavirus lo stanno dimostrando.
Il problema non sono solo i contributi che potrebbero portare all’Inpgi ma è come regolamentare l’attività giornalistica svincolata dal rapporto di lavoro subordinato, reso sempre più fragile da un diffuso e mascherato precariato e da forme di ipotetiche collaborazioni coordinate e continuative, coperte da prestazioni con basse cifre delle partite Iva. Nei bilanci 2019-20 ci sono tutte le cifre del disastro. L’Inpgi ogni mese eroga 38 milioni per pensioni a fronte di 26 milioni di entrate. Per il 2021 è prevista una spesa annua pari a 556 milioni a fronte di 353 milioni di entrate, tenendo anche conto che già nel primo semestre di quest’anno gli “attivi” sono diminuiti di 750 unità a causa della crisi economica delle aziende, fortemente penalizzate dalle chiusure stabilite per combattere il Coronavirus. Se l’Inpgi sarà commissariato, lo Stato si troverà a fronteggiare un buco di circa 600 milioni l’anno. È stato allora un Consiglio generale pieno di tensione quello dell’11 novembre, non solo per il rosso di 253 milioni ma anche per la mancanza di prospettive. Tra astenuti (sei) e contrari (quattordici) un terzo del Consiglio non ha approvato i bilanci di assestamento e di previsione che sono stati alla fine approvati con 41 voti su 60 consiglieri. In Consiglio di amministrazione aveva votato contro il bilancio di previsione il rappresentante del ministero del Lavoro, Salvatore Spinella, da poco nominato dal ministro, Nunzia Catalfo. Mancava, secondo l’esponente ministeriale, un serio piano di iniziative per il raffreddamento della spesa e di sviluppo delle entrate dell’Istituto. Il gruppo di minoranza tra cui “Inpgi Futuro” hanno riproposto alcuni obiettivi: potenziamento degli uffici ispettivi, individuazione dei giornalisti che lavorano negli uffici stampa privati e pubblici che dovrebbero versare i contributi previdenziale all’Inpgi e non ad altri istituti, revisione del contributo agli uffici di corrispondenza sindacale e alla Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana), rivedere la strategia delle dismissioni del patrimonio immobiliare (ora affidato ad una società esterna), taglio dei compensi agli amministratori dell’Istituto. Per l’Inpgi si tratta del decimo anno di fila con un risultato della gestione previdenziale e assistenziale in perdita.
Aggiornato il 16 novembre 2020 alle ore 10:06