La profonda crisi dello sport dilettantistico

Le nuove restrizioni imposte dal Governo per arginare la diffusione del Coronavirus hanno finito con il colpire, inevitabilmente, un settore già martoriato dal lockdown primaverile e dalle sue conseguenze sociali, ossia quello dello sport dilettantistico. Se da un lato, infatti, i grandi centri sportivi, così come tutti gli atleti professionisti, sono al momento ancora autorizzati ad esercitare la propria attività, lo stesso non può purtroppo dirsi delle tante associazioni sportive dilettantistiche che operano sul territorio italiano, senza dimenticare le innumerevoli palestre che sono state costrette ad abbassare le saracinesche. Un danno enorme, se considerato che le misure adottate dal Consiglio dei ministri per tentare di frenare la risalita dei contagi hanno impattato in modo diretto su oltre 7mila attività, comprensive di oltre 100mila lavoratori, che annualmente generano un indotto di oltre 30 miliardi di euro, vale a dire il 2 per cento del Pil nazionale.

A risentire della seconda ondata, tuttavia, non sono state le grandi catene che da diversi anni monopolizzano il settore del fitness e del bodybuilding, bensì tutte le piccole realtà locali, spesso già oberate da oneri fiscali e difficoltà gestionali, che occupano la primissima fascia del tessuto sportivo italiano. Le critiche per la superficiale gestione della fase 3 perpetrata dal Governo sono piovute da più fronti, in special modo dai numerosi professionisti del mondo dello sport, tra i quali vi sono tecnici, allenatori, preparatori, personal trainer e istruttori, ora più che mai relegati al ruolo di inattivi spettatori costretti alla corsa all’ennesimo bonus. Probabilmente, se fossero stati effettuati controlli capillari sul territorio e all’interno delle varie palestre, molte strutture avrebbero potuto continuare ad esercitare la propria attività in totale sicurezza, favorendo la ripresa economica e sociale del settore: “Per le inadempienze delle istituzioni ci ritroviamo ancora una volta a dover pagare un prezzo decisamente alto, con chiusure e forti limitazioni per la nostra attività professionale – dichiara Massimiliano Giannini, presidente dell’Asd Sft Academy”, istruttore di fitness e atletica leggera, nonché docente del comitato provinciale Csen (Centro sportivo educativo nazionale) per la sezione functional training – se fossero stati effettuati, nell’arco degli ultimi cinque mesi, controlli seri all’interno dei centri sportivi e delle palestre, molti di noi, che sin dal primo giorno hanno rispettato regole e protocolli, avrebbero potuto continuare a lavorare in totale sicurezza e serenità. Come già successo in passato – continua Giannini – si è preferito scegliere la strada più facile e meno dispendiosa, piuttosto che quella più impegnativa, che tuttavia avrebbe potuto salvare decine di attività. Mi auguro – conclude il docente Csen – che i ristori economici per la nostra categoria siano sufficienti per rimanere a galla, in attesa di una nuova ripartenza che possa restituire lo sport tanto a noi allenatori quanto agli atleti e agli amatori”.

Un anno nero quello vissuto dal mondo degli sport indoor, come confermato anche da Massimiliano Toti, preparatore atletico e pluricampione italiano di bodybuilding e powerlifting: “L’intera annata è stata disastrosa per il nostro settore, basti pensare che già dallo scorso febbraio, a causa del crescente terrorismo mediatico, gli ingressi nelle palestre avevano iniziato a ridursi sempre di più, sino ad una perdita del 50 per cento una volta giunti a ridosso del lockdown. A giugno poi – prosegue Toti – c’è stata una lieve ripresa, comunque bloccata dalle vacanze estive, mentre a partire dal mese di settembre, con la risalita dei contagi, si è ricominciato a diffondere paura e diffidenza nei confronti delle strutture sportive, finché non si è giunti a questa nuova chiusura. Per le piccole realtà associative che operano senza scopo di lucro – evidenzia il preparatore – le uniche entrate sono costituite dalle quote versate dagli iscritti, non vi sono ulteriori aiuti, senza gli amatori queste strutture non hanno futuro, anche perché le spese vive continuano a sussistere, dal momento che non vi è stato alcun blocco delle utenze, come invece è accaduto in altri paesi europei. Inoltre – conclude Toti – non vi è alcuna evidenza scientifica circa il fatto che le palestre costituiscano un luogo a rischio contagio, soprattutto in virtù delle tantissime regole e dei moltissimi dispositivi che ci sono stati imposti per continuare a lavorare. Non credo che ci siano luoghi più sicuri delle strutture sportive in questo momento, anzi, molti dei contagi partono dalle strutture sanitarie, che purtroppo non sono state manutenute, riqualificate e potenziate. Lo sport, anche al chiuso, non rappresenta un pericolo di contagio, bensì un’opportunità per la buona salute di tutti i cittadini”.

Aggiornato il 13 novembre 2020 alle ore 10:06