Quando due errori fanno una cosa giusta ma tanti solo un disastro

Riportano le autorità sanitarie del Lazio che l’89 per cento dei contagi avviene in famiglia. All’interno dei nuclei, il virus verrebbe portato da persone che lo hanno, evidentemente, contratto in altri luoghi, dove vige l’obbligo delle mascherine. Il che legittimerebbe i dubbi sull’efficacia di questo presidio (per carità non dico di non usarle), creando un falso senso di protezione tra chi giornalmente si imbarca sugli iper-affollati mezzi pubblici o frequenta, sempre mascherato e assiso in banchi monoposto su ruote, le aule delle scuole. Queste dotazioni scolastiche si sono rivelate un inutile spreco di denaro pubblico. O è confinato in una Rsa (Residenza sanitaria assistenziale) e nosocomi, dove proprio i più fragili continuano a cadere, come foglie al vento, vittime del contagio.

Le restrizioni imposte dai vari Dpcm sembrano più fioretti religiosi che sensate misure di contenimento della pandemia.

La riduzione degli orari di accesso agli esercizi di bar e ristorazione è un’altra misura controproducente: significa concentrare in un minor arco temporale gli afflussi degli avventori. Più razionalmente, servirebbe il contrario: diluire lungo un maggior lasso di tempo gli accessi dei clienti. Nonostante quanto sopra, ai nostri governanti e ai loro acritici sostenitori, viene comodo continuare ad accusare della diffusione del virus, invece della propria totale incapacità, l’indisciplina dei cittadini. Assodato che il contagio si diffonde nell’aria viziata dei luoghi chiusi, che cosa fa il Governo? Confina tutti per più tempo a condividere la stessa viziata aria domestica. E i contagi continuano a salire. E non fa nulla, invece, per diminuire la pressione sul trasporto pubblico. Potrebbe, ad esempio, affiancare ad esso le decine di migliaia di pullman turistici, oggi fermi per la pandemia. O sospendere ztl e strisce blu, per incentivare l’uso di mezzi privati. E fa ancora meno per sgravare il sistema ospedaliero dai tanti convalescenti che potrebbero, più intelligentemente, essere ospitati, fino alla negativizzazione dei tamponi, nelle strutture alberghiere ormai desertificate. Invece di confinare gli studenti delle superiori a casa, si sarebbero potuti attrezzare per tempo i più spaziosi palestre e oratori, preclusi anch’essi al normale uso. Per alleviare la pressione sui centri Covid di analisi, si potrebbe attivare la collaborazione della capillare rete dei laboratori e della sanità privata (per farlo, nel Lazio, c’è voluta una sentenza del Tar). O consentire la vendita nelle farmacie dei test sierologici che, oggi, sono vendibili solo – non dietro ricetta del medico – ma addirittura con la sua presenza.

Hanno sbagliato quasi tutto nella fase 1 – ma allora il virus ci aveva colti di sorpresa – e continuano a commettere gli stessi errori nella fase 2. Il potenziamento delle terapie intensive, che aveva mandato al collasso il sistema a marzo, prosegue con lento colpevole ritardo. Ci hanno ripetuto il mantra delle “tre t”: testare, tracciare e trattare. I primi due sono falliti. Per il terzo stiamo ancora galleggiando. Mentre altrove si annunciano piani per testare ripetutamente l’intera popolazione, l’Italia continua a essere il Paese che pratica, percentualmente, meno tamponi. Tante cose si possono ancora fare. Ma servirebbe capacità e intelligenza. Dotazioni ancora più scarse dei tamponi, almeno tra chi ci governa.

 

Aggiornato il 09 novembre 2020 alle ore 10:15