
Ora più che mai sono completamente certo che esista un ben stabilito e dettagliato disegno “genocida” per distruggere quanto di più prezioso possegga l’Italia: la cultura. Sono un complottista se affermo questo? Ebbene allora che mi si lasci complottare, fate come si è soliti fare con i folli, assecondatemi, ignoratemi. In effetti, non c’è più alcuna differenza tra il sottoscritto e la carta dei tarocchi che porta il numero “zero” e danza, colorata, sull’orlo del mondo. Tra i deliri tremendi del nuovo Dpcm emesso dalle inarrivabili menti del premier, Giuseppe Conte e dei suoi stretti collaboratori, tra i quali l’insuperabile ministro Dario Franceschini, ministro della Cultura, dopo aver di fatto impedito, quasi “manu militari”, qualsiasi evento artistico e culturale, pubblico e privato, sì è dato il colpo finale, esiziale, con la chiusura dei musei e delle mostre. In effetti così tutto si tiene. In attesa di essere perseguito dalla “psicopolizia” e sottoposto a un tso per quanto vado scrivendo – e dicendo – da mesi, proseguo nella mia tesi paranoide e oscurantista, di certo in odore di negazionismo fascista.
Peccato che – lo ricordo per i più distratti detrattori del vituperato Ventennio – il Fascismo, con le leggi del 1939 volute da Giuseppe Bottai, abbia prodotto la miglior giurisprudenza mai realizzata proprio per la tutela e la salvaguardia dei nostri beni artistici e culturali, mentre – anche questo lo ricordo per tutti coloro che avessero ancora gli occhi foderati da spessi strati di speck – furono i nazisti a bruciare i libri e a distruggere molte opere d’arte, e con loro fece scempio la volontà distruttiva bolscevica della Russia stalinista. Ecco perché l’aggettivo “fascista” urlato da Vittorio Sgarbi all’indirizzo di Conte e Franceschini trovo sia inadatto, improprio, nella sua ontologica essenza, poiché – ne sono certo – mai nessun “fascista” avrebbe osato tanto e la storia lo dimostra. Detto ciò, mi trovo comunque totalmente al fianco di Vittorio nella sua indignazione sgarbiana rivolta con giusta ira a questa scellerata decisione dell’attuale esecutivo, che segna così uno degli abissi più cupi e oscurantisti dei governi dell’ultimo Dopoguerra.
Nutro, altresì, il sospetto che in un tempo lontano della loro infanzia, sia al premier sia al ministro dei Beni culturali, sia occorso qualche cosa di sgradevole legato ai luoghi dell’arte, del bello, della cultura che li abbia segnati per sempre, con un trauma recondito e subconscio che ciclicamente riemerge in tutto il suo odio. Forse qualche musicista, qualche giovane attore, qualche pittore di bell’aspetto è stato preferito loro da qualche fanciulla del liceo? Se così fosse, tanto astio sarebbe soltanto un meschino tentativo di vendetta a posteriori nei confronti di un’intera categoria che essi stentano a comprendere, ma se invece vi fosse a monte un progetto minuzioso che utilizza l’insipienza politica e amministrativa di costoro per perseguire un fine di annichilimento dell’intera società italiana? Colpendo luoghi e persone che si occupano di beni “immateriali” – ma non sempre perché la ricchezza di un museo, di una mostra è assolutamente tangibile – nei fatti si mina alle fondamenta un’intera civiltà che, perdendo così ogni proprio valore di rifermento alto e nobile, verrà facilmente e in breve tempo livellata sui bisogni essenziali e pertanto molto più facilmente dominata.
Unendo poi questo atto di volontaria demolizione dei luoghi e delle attività d’arte e cultura con un quasi certo impedimento alla mobilità individuale dei cittadini, si ottiene un perfetto regime totalitario che blocca qualsiasi “libertà”, nascondendosi dietro l’ipocrita giustificazione della tutela della salute pubblica del cittadino. George Orwell e i suoi epigoni, persino i peggiori scrittori di distopie fantascientifiche, tra il Seicento e il secolo scorso, non hanno mai immaginato qualcosa di altrettanto aberrante e soprattutto almeno non lo hanno mai messo in atto. Oggi, Conte e i suoi, utili pedine su una scacchiera criptopolitica dove esistono soltanto caselle nere, lo stanno facendo ogni giorno, incessantemente e…cosa più triste di ogni altra…con la connivente, supina accettazione di tutto questo da parte di molti cittadini ignari di quanto William Shakespeare fece gridare al pallido principe di Danimarca, Amleto: “È una bella prigione, il mondo”.
Aggiornato il 03 novembre 2020 alle ore 09:45